Un cigno nero si aggira per la Germania, si chiama Wirecard, e il governo tedesco le sta provando mediaticamente tutte per strane fuori, perfino scaricare il proprio ministro delle Finanze.

Oltre alle non semplici difficoltà dei Paesi Bassi, un satellite economico di Berlino travolto dal proprio debito privato (un generatore di crisi economica) e dalla non eccelsa gestione pandemica, ora è la Germania a dover fare i conti uno tsunami mediatico e finanziario. Nelle stesse ore in cui a Lufthansa venivano erogati 6 miliardi d’euro dallo Stato tedesco (con tanto di accordo Ue), scoppiava il caso Wirecard.



Wirecard, perché è un caso scottante

Parliamo di un affaire abbastanza delicato, che può investire il governo tedesco e che ha messo in fibrillazione perfino i mercati finanziari. Si tratta di una società tedesca di servizi che è fallita dopo aver truccato i bilanci per 1,9 miliardi d’euro. Le presunte irregolarità avrebbero avuto origine dal 2015. Banche ed investitori pagano uno “scotto” da 3,2 miliardi circa. Diverse le banche che hanno erogato finanziamenti a Wirecard, e che comprendono Commerzbank, Abn Amro, Lbbw e Ing. Del caso Wirecard parlano tutti nel mondo, forse è proprio in Italia che se ne parla poco. Il Financial Times ha scritto di recente un pezzo dal titolo emblematico: “Wirecard: the rise and fall of a German tech icon”, ovvero “Wirecard: l’ascesa e la caduta di un’icona tech tedesca”. Il Telegraph invece commenta la notizia scrivendo di Enron tedesca. Una Caporetto mediatica per la Germania che di fatto mina uno dei settori strategici per Berlino, ovvero le transazioni online.



Il “caso Scholz” inguaia Berlino

Olaf Scholz, ministro delle finanze tedesco, pare fosse informato fin dal febbraio 2019 dei sospetti riguardo le irregolarità di Wirecard. Proprio a febbraio 2019 il Dpr (Deutsche Prüfstelle für Rechnungslegung, organo di sorveglianza in prima istanza, con sede a Berlino) aveva ricevuto questo incarico dalla Bafin (la Consob tedesca): controllare la semestrale 2018 di Wirecard. Inoltre, fatto non secondario, il 19 febbraio 2019 Scholz era stato informato che l’Autorità federale per la vigilanza finanziaria (la Bafin appunto) aveva iniziato le indagini a largo spettro su Wirecard per qualcosa di veramente grosso: “sospetta manipolazione del mercato”. Bafin aveva ovviamente informato l’apparato ministeriale dell’incarico affidato alla Dpr, che indagava su presunte irregolarità di bilancio. Oltre a ciò, in data 8 marzo 2019, il sottosegretario competente sulla vicenda, tale Jörg Kukies, aveva richiesto informazioni dettagliate al presidente di Bafin, Felix Hufeld, nello specifico “sullo stato degli eventi attuali e le misure intraprese dalla stessa autorità di vigilanza”.



Scholz poteva non sapere? Aleggia una certa negligenza non solo tra gli oppositori della Merkel, ma nella stessa Cdu, il partito della cancelliera. Il responsabile economico della Cdu, Hans Michelbach, è infatti autore di una dichiarazione pesantissima: “Riteniamo che la riservatezza di informazioni al parlamento sul caso Wirecard non possa più protrarsi oltre. Deve finire tutto sul tavolo e soprattutto è inconcepibile che il ministero sfugga all’obbligo di ragguagliare la commissione delle Finanze”. Un vero e proprio siluro atto a mettere in sicurezza la cancelliera Merkel, la cui exit strategy appare chiara: scaricare il barile sul ministero delle Finanze. Scholz è avvisato, il governo tedesco vuol evitare coinvolgimenti, sarebbe un problema d’immagine anche a livello europeo.

La commissione d’inchiesta e la retromarcia mediatica

Istituita la commissione parlamentare d’inchiesta, il compito principale sarà quello di comprendere a fondo il comportamento del governo tedesco e del Bafin nel caso Wirecard. Oltre alla commissione, sulla società tedesca Wirecard indaga anche la procura di Monaco di Baviera.

Al principio, nonostante segnali ed inchieste giornalistiche di peso, la Bafin si è sempre schierata con Wirecard, arrivando perfino a minacciare (come riportato dal Sole 24 Ore) azioni legali contro gli “speculatori”, ovvero quei giornalisti economici che osavano metter in dubbio i conti di Wirecard. Stesso periodo in cui il Financial Times insisteva con la propria inchiesta, nonostante la vicinanza del governo tedesco all’azienda. Una operazione mediatica che si è rivelata un boomerang.

Wirecard era considerata da Berlino azienda strategica: l’asset è quello quello dei pagamenti elettronici, un settore in ascesa e fondamentale per il futuro dell’economia tedesca (in Cina è già stato lanciato l’E-yuan, ovvero una moneta digitale coniata dallo Stato).

Sistema tedesco

La Germania protegge i propri interessi nazionali e nel caso specifico si è comportata come sempre: negare fino all’ultimo, poi ammorbidire la posizione e infine scaricare su terzi responsabilità. Da un punto di vista mediatico devono sempre uscirne bene la nazione ed il governo, soprattutto a livello internazionale. Dal Covid-19 al Dieselgate la strategia è parsa funzionare, ma con i quasi 2 miliardi di Wirecard, di fatto creati virtualmente e “pompati” nel sistema abbiamo assistito a qualcosa di mai visto prima. Soprattutto sei pensa che il sistema tedesco ha retto alla prima parte della crisi anche grazie ai bilanci truccati di Wirecard.

Il danno “base” è stimato in 3,2 miliardi, riguarda investitori e banche, che però a loro volta hanno aumentato i volumi andando a competere con terzi sul mercato internazionale, mandando in totale sbilanciamento finanziario i competitor, che hanno “tarato” le proprie operazioni su denari reali e sono state danneggiate.

Si è mossa anche la Ue, un po’ in ritardo, mettendo sotto la lente la Bafin, che non ha stoppato in tempo Wirecard, la quale ha potuto muoversi sul mercato con capitali di fatto inventati e moltiplicati, a danno delle altre società quotate, creando un danno multiplo e a cascata.

Il volo del cigno nero è tutt’altro che concluso.