Quando non si concludono le scelte politiche che si erano elaborate in nome di ideali irrinunciabili, si rischia spesso di andare a schiantarsi e alla fine si è pure costretti a rimettere tutto in discussione.  A una settimana dalle elezioni europee tanto attese, si possono mettere insieme tre fatti: la scarsa affluenza alle urne (storica in Italia: per la prima volta sotto il 50%); il crollo per una settimana delle borse e dei mercati finanziari; una svolta a destra che lascia esterrefatti per i Paesi che ha coinvolto, per le ragioni che l’hanno provocata e per la difficile possibilità reale di ritornare alle visioni dei fondatori dell’Europa, che erano di tutt’altro tipo.



Inutile nasconderlo e sognare a occhi chiusi, adesso, e lo sarà nei prossimi mesi: comincia un nuovo futuro dell’Europa, con delle incognite e delle contraddizioni che mettono i brividi, ma solo una rinnovata classe dirigente, ben diversa da quella attuale, dovrebbe avere il compito di affrontare e di risolvere i problemi politici che non si sono mai risolti in questi ultimi anni e che hanno portato l’Europa a perdere il 30% di fiducia rispetto alle speranze che offriva una quarantina di anni fa.



C’è un’altra considerazione da fare e c’è un’immagine da guardare con apprensione: è la fotografia finale della riunione del G7, dei cosiddetti “sette grandi”, al vertice di Savelletri di Fasano in Puglia.

Forse, nella situazione che viviamo, non siamo certo indotti all’ottimismo, ma indubbiamente nessuno può smentire almeno tre fatti che riguardano in questo frangente tutto il mondo e la sua attuale classe dirigente. Nonostante le sfumature, le dichiarazioni, le promesse di tregue, stiamo vivendo tre situazioni “limite”.

In primo luogo, siamo sull’orlo di una guerra mondiale non dichiarata, ma combattuta con le armi in moltissimi luoghi del mondo (non solo in Ucraina e nel Medio Oriente) e che ha già procurato centinaia di migliaia di morti e inoltre viene condotta anche con sanzioni commerciali che non fanno che aggravare la crisi economica dell’Occidente, in questi anni ma anche in futuro.



In secondo luogo, guardando sempre quella fotografia che ha terminato il G7, si ha la sensazione di una classe dirigente mondiale debolissima, che non riesce più a controllare la situazione, che in questi anni non ne ha azzeccata “una che è una” e che non riesce neppure a rappresentare l’unità nei propri Paesi. E questo, visto la durezza delle contrapposizioni, vale anche per l’Italia, che solo apparentemente resta la più solida dopo il voto.

In terzo luogo stiamo affrontando una delle grandi rivoluzioni tecnologiche della storia dell’umanità, una di quelle rivoluzioni che ridisegnano le società, le classi sociali, l’organizzazione del lavoro, lo stesso ruolo dello Stato e soprattutto ridisegnano le nuove mansioni umane nel mondo della produzione; è un’incognita quale cambiamento emergerà del concetto di impresa.

Tutto questo è abbastanza evidente, al punto che viene invitato il Papa a una riunione dei G7 per ragionare sull’intelligenza artificiale.

In definitiva, in una svolta storica epocale, il mondo e la sua classe dirigente la affronta parlando di armamenti, guardando, senza fare nulla, a disuguaglianze incredibili, tra i Paesi e all’interno dei singoli Paesi tra nuove classi sociali.

Certamente non possiamo guardare solo all’Europa e al ruolo che dovrebbe avere nel mondo. Ma è il punto di partenza che ci interessa da vicino. Alla vigilia della prima riunione del Ppe, la formazione politica che dovrebbe aver vinto le elezioni a livello continentale, non si sa ancora quale maggioranza sia possibile nella futura governance europea.

Si parla di diverse soluzioni, anche quella teoricamente possibile di una fuoruscita dalla maggioranza dei socialisti. E sarebbe un colpo incredibile, soprattutto per quell’asse franco-tedesco che ha caratterizzato quasi sempre le tappe del futuro europeo.

Qui c’è da fare un ragionamento particolare. In Germania è successo che i socialdemocratici e il loro cancelliere occupino adesso il terzo posto, niente meno che dopo i neonazisti, che trovano, tra l’altro il loro terreno più fertile, in quella zona a Est che prima della caduta del Muro si chiamava DDR e dove il comunismo, era tra i più collegati alla Mosca sovietica.

Ma l’altra “ex potenza” che determinava i destini dell’Europa era la Francia e qui, possiamo ben dirlo, è successo un finimondo che sembra irrisolvibile. Al punto che parlare oggi di asse franco-tedesco sembra un paradosso grottesco.

La Francia, nel bene e nel male, spesso purtroppo anticipa storicamente i destini dell’Europa. Oggi, secondo i sondaggi, c’è una leadership che pare quasi imbattibile, quella, niente meno, di Marine Le Pen, l’esponente che in tutti questi anni ha caratterizzato più di tutti la politica di destra non solo francese, ma anche europea.

Sembra impossibile che non ci si sia resi conto del pericolo francese: attentati, da anni situazioni controverse in Africa, rivolte nelle banlieues continue, proteste che hanno riguardato tutti gli strati sociali a partire dai “gilet gialli” e poi l’insofferenza fino all’ultima riforma delle pensioni, con sullo sfondo una destra sempre in crescita e una sinistra che non capiva più le ragioni di questa protesta: Jean-Luc Mélenchon, il leder socialista, uscito dalla confusione dei tronconi di sinistra, non ha ancora compreso perché ci siano tante proteste contro le decisioni di alcune riforme e l’attuale Europa.

In mezzo a questi due schieramenti, l’imperdonabile Emmanuel Macron, che si è dimostrato incapace di comprendere lo spirito che anima oggi i francesi. Il suo risultato elettorale è impietoso: Le Pen ha preso più del doppio dei voti di Macron.

Possibile che nessuno si sia accorto di quello che accadeva in Francia? I corrispondenti dei giornali stranieri, per primi gli italiani? I visitatori che passavano per la Francia? Gli analisti che sanno tutto?

Oggi si dice che Macron faccia una mossa da scacchi, “la mossa del cavallo”, che consisterebbe nel restare all’Eliseo anche in caso di sconfitta o comunque di contrapposizione ancora più dura di quella attuale.

A ben vedere questo è uno dei primi passi che sgomenta e che dimostra ancora di più l’inconsistenza di questa classe dirigente. Come può andare avanti e attuare le riforme necessarie l’Europa con una Francia in queste condizioni?

Le risposte, purtroppo, arriveranno presto.

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