Jürgen Habermas non è solo un grande pensatore tedesco contemporaneo, ma, soprattutto, uno dei principali esponenti di quella che fu la “Scuola di Francoforte”, che, con la sua “teoria critica”, è all’origine, nel bene e nel male, della rivoluzione culturale seguita al Sessantotto, tedesco ed europeo. Anche dopo il suo pensionamento ha continuato il suo impegno civile che, con categorie italiane, potrebbe essere definito di orientamento progressista. Così, nel 1999 prese una netta posizione contro l’intervento della Nato in Kosovo; successivamente mise in guardia circa i rischi di una “eugenetica liberale”: posizioni indubbiamente coraggiose e controcorrente. Di lui si ricorda anche il tentativo di aprire un dialogo con le religioni e, nello specifico, i densi colloqui da lui avuti con l’allora cardinal Ratzinger sul tema della secolarizzazione e della laicità positiva. Importante è stato anche il suo contributo, nel 2016, alla Carta dei diritti digitali dell’Unione Europea.



Ora, due mesi dopo l’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina, l’icona del pensiero critico e progressista tedesco interviene con un lungo articolo intitolato “Krieg und Empörung” (Guerra e indignazione) pubblicato il 28 aprile sulla Süddeutsche Zeitung, quotidiano bavarese da sempre vicino alla Spd, il partito socialdemocratico tedesco. In esso il filosofo prende le difese del cancelliere Olaf Scholz e del suo atteggiamento “prudente”, contro le voci critiche levatesi nei suoi confronti all’interno della coalizione di governo con i Liberali, da sempre atlantisti, e i Verdi, che con la ministra degli Esteri Annalena Baerbock hanno assunto una posizione particolarmente dura a sostegno dell’invio di armi pesanti all’Ucraina.



La premessa, anche per Habermas, è la condanna della guerra di aggressione voluta dal governo russo, “contro ogni principio del diritto internazionale” e con una condotta militare di “sistematico disprezzo dei diritti umani”. Ne deriva, in Germania e in Occidente, un atteggiamento empatico nei confronti dell’Ucraina e delle sue sofferenze che, peraltro, è all’origine di due posizioni divergenti: quella di chi si schiera nettamente a fianco dei combattenti ucraini, rigettando come illusorie le proprie passate convinzioni pacifiste, e quella di chi insiste nel sostenere una politica di pace, così come già era avvenuto nel corso della Guerra fredda, in nome e in funzione di una politica di coesistenza e di cooperazione. Constatando il ribaltamento del pacifismo tedesco, Habermas va, di fatto, a toccare un nervo scoperto della cultura tedesca contemporanea, per la sua incapacità di fondare in profondità le ragioni autentiche della pace, in un contesto anche emozionalmente complesso.



Il filosofo si dice stupito – e ne prende conseguentemente le distanze – dalla “conversione di quelli che un tempo erano pacifisti”, per quanto la loro posizione bellicista, nel caso del conflitto ucraino, possa trovare dei motivi nello sdegno e nella compassione per quanto sta succedendo. Costoro – e non è difficile non scorgervi una neanche tanto velata allusione ai Verdi e alla ministra Baerbock – non si sarebbero affatto convertiti a una posizione di realismo politico, ma avrebbero letteralmente “ribaltato” il loro pacifismo nel suo esatto contrario. Prova ne sono, appunto, i toni “striduli” con cui gli ex pacifisti attaccano chiunque non assuma una posizione altrettanto favorevole alla guerra.

Habermas si mostra, quindi, preoccupato riguardo alle posizioni oltranziste assunte dai media e accusa i critici di Scholz di essere particolarmente “aggressivi” e di esercitare delle pressioni, sino al limite del ricatto, in favore di un esplicito sostegno militare all’Ucraina. Sono toni, che, in una situazione politica delicatissima, arrivano sino al ricatto morale, perché il cancelliere assuma una posizione netta e priva di ogni tratto di moderazione.

Il cancelliere e la Germania, secondo Habermas, si trovano, invece, con le mani legate, a meno che non si voglia finire per essere apertamente coinvolti nel conflitto. “È più che evidente il dilemma che costringe l’Occidente a una rischiosa ponderazione tra due estremi: una disfatta dell’Ucraina o l’escalation da conflitto limitato a terza guerra mondiale”. Ragion per cui non è il caso di provocare ulteriormente la Russia, proprio in quanto potenza atomica. Dopo l’introduzione di sanzioni di proporzioni mai viste, con il passo successivo, che è la consegna di armi pesanti, la Germania e l’Occidente verrebbero a trovarsi, di fatto, in guerra con la Federazione Russa. Il cancelliere fa bene a mostrarsi più che prudente su questa decisione, che equivarrebbe a una dichiarazione formale di guerra, come, del resto, Vladimir Putin ha già fatto notare. Per dirla in altri termini, Habermas sostiene con forza che la consegna di armi pesanti sia una risposta sproporzionata, che espone la Germania e l’Europa a un rischio di coinvolgimento diretto in un conflitto armato mondiale che, invece, andrebbe in tutti i modi evitato. La posta, insomma, è troppo alta e si sta perdendo il senso della misura.

In proposito e a sostegno di Scholz, Habermas cita un’intervista concessa dal cancelliere al settimanale Der Spiegel il 23 aprile scorso, in cui questi dice apertamente: “Faccio tutto il possibile per evitare un’escalation che porti alla terza guerra mondiale. Non dovrà esserci un conflitto atomico”. E, alla domanda del giornalista, se ritiene davvero quest’ultima ipotesi possibile, Scholz risponde: “Non c’è alcun manuale da cui poter desumere quale sia la nostra situazione, sapere da quale punto in poi noi [la Germania] saremo considerati parte belligerante. Un manuale così viene scritto giorno per giorno e, se guardiamo indietro, un po’ di lezioni le troviamo”.

In effetti, nel frattempo, un’altra pagina di questo medesimo manuale è stata voltata proprio il 28 aprile scorso, al Bundestag, dove è passata una mozione sostenuta anche (e soprattutto) dalla Cdu/Csu, favorevole alla consegna di armi pesanti all’Ucraina. Non è solo che il cancelliere è stato di fatto sfiduciato dalla sua maggioranza, ma che, paradossalmente, il clima che si va generando è proprio quello della “pressione morale” verso la guerra, come scrive Habermas nel suo articolo.

Non a caso, per la prima volta, l’ultimo grande pensatore della Scuola di Francoforte, da sempre ascoltato con rispetto dall’inteligencija progressista, ha subito attacchi durissimi da parte della stampa tedesca, con in prima fila la Faz, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, che gli ha replicato con un editoriale intitolato: “Dobbiamo chiedere il permesso a Putin?”, a dimostrazione che anche in Germania, come in Italia, la grande stampa mainstream è completamente allineata sulle posizioni più radicali dei dem americani e non coglie sino in fondo la drammaticità (e i rischi) del momento, ma nemmeno l’occasione, ormai persa, di porre l’Ue, peraltro molto meno unita di quanto vorrebbero farci credere, in una posizione di autentica mediatrice.

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