In geopolitica vige la teoria del caos: fatti apparentemente distanti e sfilacciati risultano poi essere interconnessi.

In Germania nell’ultima settimana non sono mancate le polemiche sul virus, che hanno travolto anche il virologo-star Christian Drosten. Bild Zeitung non perdona e silura Drosten, che avrebbe usato metodi e criteri discutibili in uno studio sugli effetti del Covid-19 sui bambini, nel quale si afferma che la loro contagiosità è pari a quella degli adulti, di fatto dando vigore ai molti malumori innescati dal lockdown. Drosten, di norma molto attivo sui social, ha liquidato il tutto con un perentorio: “Non ho tempo per stare su Twitter a spiegare”.



Un virusgate che la macchina mediatica tedesca ha cavalcato con maestria, subito relegando in secondo piano il caso del paziente zero tedesco e spostando l’attenzione sulla fase 2, ovvero quella ripresa (anche economica) che la Merkel ha studiato con abilità anche mediatica (molto simile alla strategia di Pechino), compresa l’insistenza sulla ripresa del campionato di calcio.



Nel mezzo però va segnalato lo smacco inflitto agli Usa (che non dimenticano certi sgarbi) nel marzo scorso, quando Trump offrì un miliardo per l’esclusiva su una cura in sperimentazione nei laboratori di CureVac, azienda biofarmaceutica con sede centrale nel Baden-Wurttemberg e stabilimenti anche a Francoforte e Boston. Arrivarono siluri da membri del governo tedesco: “La Germania non è in vendita”, dichiarò il ministro dell’Economia Peter Altmaier, intervistato dall’emittente Ard. Gli fece eco il titolare degli Esteri, Heiko Maas: “I ricercatori tedeschi hanno assunto un ruolo guida nello sviluppo di farmaci e vaccini nel quadro di reti globali di cooperazione”.



Basta poco e il governo tedesco è preso di mira da Trump, che attacca duro  visto che in quel momento Berlino si rifiuta di pubblicare il numero reale di contagi, anzi si limita  ad avvertire che il 70% della popolazione potrebbe contrarre l’infezione. Inoltre quello che fa infuriare Trump è il famoso calcolo “tedesco” (o cinese?) dei deceduti, in cui spunta l’ormai famoso “morti con coronavirus” anziché “per coronavirus”. La Merkel con un colpo da biliardo mediatico sposta il problema sui Länder, una responsabilità morale che ha visto i governatori protestare, una vicenda di cui poco o nulla è uscito all’estero.

Pensiamo invece a cos’è accaduto tra Governo italiano e Lombardia, regione ormai nota in tutto il mondo per i morti causati dalla pandemia. Palazzo Chigi avrebbe dovuto proteggere la regione italiana dalle risposte straniere, che si sono tradotte in blocchi dei viaggi e chiusure al Belpaese.

Mentre la Merkel, pur alle prese con i focolai fin da gennaio, non ha ceduto sullo stop delle attività produttive e sociali, mostrando uno spin geopolitico che ha fatto un favore alla Cina – la Germania è il paese più legato all’industria cinese che già era in crisi produttiva – e uno sgarbo agli Usa, i quali avrebbero preferito un fronte unico occidentale.

Con il G7 in programma a giugno la Merkel ha alzato l’asticella, ostacolando il ritorno della Russia caldeggiato da Trump e portandosi dietro Canada e Gran Bretagna, creando così non poco imbarazzo a Giuseppe Conte, diviso tra gli alleati europei e Donald Trump.

A questo quadro si sommano i giornali tedeschi poco teneri con gli Usa a causa dei fatti di Minneapolis, dopo una campagna Usa incentrata sul Dieselgate e sulla “scarsa affidabilità tedesca” dichiarata da Trump in più occasioni.

Siamo nel mezzo di uno scontro feroce che vede la Germania alleata della Cina collocarsi come punta di lancia tra Usa e Russia, in questo momento alle prese con i contagi da Covid-19 ancora in aumento e le rivolte interne. Una strategia, quella tedesca, che di fatto blocca l’intero continente, Italia in primis. In Germania si continua a vociferare di un consorzio Tyssenkrupp con Fincantieri, un affare che Pechino sponsorizzerebbe. La recente commessa targata Fincantieri in Usa fa però pensare quanto sia rischioso rinunciare al mercato a stelle e strisce, già compromesso nel settore aeronautico dall’affaire Airbus.

Nel mentre però spuntano continue proteste in Germania ed un nuovo contagio in Bassa Sassonia, per la precisione a Gottinga. 36 persone sono state contagiate – una in modo grave – dopo aver frequentato un locale che, da disposizioni, non avrebbe dovuto essere aperto. 300 persone sono state messe in quarantena preventiva. Nel mentre la Bild titolava: “A Berlino ci si comporta come se il coronavirus non ci fosse più”, riferendosi a una idea nata in Facebook e descritta come “Rebellion der Träumer” (Ribellione dei sognatori). In pratica si sono ritrovate sul fiume Sprea circa 300-400 imbarcazioni (inclusi kayak e gommoni) ed oltre 1.500 persone. Ci sono voluti oltre un centinaio di agenti per mettere fine a quello che ormai era diventato un “party galleggiante”. Ai partecipanti è stato poi chiesto di limitare i contatti sociali per 14 giorni. Ironia della cronaca, nelle stesse ore la Germania chiedeva di ospitare la finale di Champions League ad agosto al posto della Turchia, descritta come paese “poco sicuro”.

Tutto ciò dimostra che la strategia mediatica tedesca è sempre la stessa: spostare l’attenzione all’esterno per mascherare gli inconvenienti di casa propria. Per ora ha funzionato, ma appena gli Usa risolveranno la partita interna torneranno ad occuparsi di Cina e di riflesso di Germania, che a partire dai numeri del contagio ha fatto sponda con Pechino fin dall’inizio della pandemia, di fatto evitando all’industria cinese di collassare in ambito europeo.

Un’azione geopolitica da manuale, che però al Pentagono proprio non hanno digerito; e adesso il dossier Germania è accanto a quello siglato Cina. Con la Cia in campo, la prossima mossa sarà degli Stati Uniti. E c’è da capire quanto influirà sulla Ue.