Quando il ministro dell’Economia e della protezione climatica del governo tedesco, Robert Habeck, ha dichiarato che nel 2023 l’economia tedesca, registrando una diminuzione dello 0,4%, sarebbe andata in recessione, sono risultate ancora più chiare le conseguenze della Zeitenwende, “la svolta” nella storia tedesca di cui ha parlato il 27 febbraio il cancelliere Olaf Scholz durante una sessione speciale del Bundestag. Una svolta che investe direttamente il modello di sviluppo tedesco e che impone di guardare oltre la congiuntura e di pensare alle sue caratteristiche strutturali.
La Germania ha saputo essere una protagonista indiscussa della fase della globalizzazione, che la guerra in Ucraina ha mandato in soffitta. Lo stretto rapporto con l’economia cinese e il gas russo a basso costo sono stati gli elementi principali del successo dell’economia tedesca, due fattori di un quadro determinato da fattori tanto economici quanto geopolitici che sembra definitivamente compromesso.
Per molto tempo abbiamo visto nella Germania un modello di politiche di bilancio virtuose, ma la crisi attuale palesa il fatto che l’ottimo stato di salute dei conti pubblici tedeschi era il frutto di una precisa scelta.
Una ricerca svolta recentemente dal quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt sosteneva che la Germania aveva sprecato l’occasione di utilizzare i propri avanzi di bilancio per una ristrutturazione del suo sistema produttivo e che “invece di promuovere la digitalizzazione nella società e costruire rapidamente nuove infrastrutture sociali e fisiche, i politici hanno ceduto all’errata convinzione di poter tenere sotto controllo il populismo dilagante amministrando lo status quo, allo stesso tempo fornendo benefici sociali di ogni tipo e lanciando programmi di sostegno molto generosi”.
Ma a ben vedere i mancati investimenti erano il frutto di una beggar-thy-neighbour policy di stampo neo-mercantilista, che puntava sistematicamente a deprimere la domanda interna. Inoltre, sembra semplicistico sostenere che le esportazioni tedesche hanno perso gran parte del loro appeal poiché non riguardano più prodotti ad alta tecnologia e ad alto valore aggiunto. Il modello export lead dell’economia tedesca si è sempre avvalso di una notevole capacità e beni capitali con i quali ha saputo competere in modo efficiente con le economie più avanzate. Come ha fatto osservare acutamente Joshua Halevi in un interessante articolo pubblicato su Moneta e Credito, quello che è venuto a mancare è il nesso strutturale, risalente alla fine degli anni Settanta, con l’economia cinese, quando, cioè, la modernizzazione del sistema industriale di Pechino avvenne grazie al contributo di società tedesche come la Volkswagen, la Siemens a la Thyssen e quindi a joint venture che hanno dato vita a un rapporto organico e sistematico fra le due economie.
La Germania nell’ottica dell’espansione cinese ha funto da perno di un sistema di relazioni commerciali euro-asiatico che serviva a garantire alla Cina l’accesso alla catena di approvvigionamento di materie prime russe e alla rete logistica che aveva come sbocchi l’Olanda e Dortmund. Come si può leggere nell’articolo di Halevi, i gruppi industriali tedeschi hanno puntato a “creare sinergie tra Cina, Russia, Kazakhstan, Ucraina e quindi Europa, Germania. Vale a dire, delle sinergie tra paesi e grandi aree integranti logistica, produzioni ed esportazioni energetiche (Russia, Ucraina, Kazakhstan) e importazioni di beni industriali sia dalla Cina che dalla Germania”,
Una convergenza di interessi che si basava sul fatto che il controllo del sistema euro-asiatico è una priorità vitale sia per la Germania quanto per la Cina, un’area la cui importanza non risiede solo nella logistica, ma nell’essere una vastissima area di sviluppo che possa dare nuova linfa all’espansione delle due economie sempre alla ricerca di nuovi mercati e che non possono più contare su quelle stagnanti e impoverite dei Paesi europei.
Per molto tempo si è descritta la Germania come un paese dotato di una poderosa economia, ma restìo a prendersi le proprie responsabilità in politica estera. In realtà, la decisione di guardare ai mercati dell’Est Europa e al rapporto privilegiato con la Cina è il frutto di un progetto che ha visto nella leva economica lo strumento più efficiente in chiave geo-strategica.
Al netto di ogni discorso autoassolutorio che vede nella Germania la fonte di ogni problema dei paesi periferici dell’Eurozona, sembra essere giunto il momento di valutare in modo obiettivo le vicissitudini dell’economia tedesca. Se è vero che essa è il nuovo “malato d’Europa”, bisognerebbe pensare a livello europeo nuove strategie d’intervento, perché senza una Germania sana e ricca è difficile pensare in termini ottimistici il futuro dell’Unione europea.
In questa fase di aperta competizione fra economie nazionali è finalmente svanita la retorica che nascondeva l’egoismo nazionale dietro precise politiche economiche, ma il fatto che sia stata la guerra in atto a disvelare queste dinamiche e non le istituzioni europee rappresenta di per sé una sconfitta epocale, la cui responsabilità investe tutti, e non solo i governi tedeschi.
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