Nel giro di pochi giorni sul “crepuscolo” di Angela Merkel – ormai entrato nelle settimane finali – si è nuovamente allungata l’ombra, apparentemente lontanissima, del predecessore: il socialdemocratico Gerhard Schroeder.
Al voto 2002 il leader Spd riuscì a rovesciare sondaggi molto negativi rispetto all’opposizione Cdu-Csu, strappando la rielezione grazie a un’efficace contrasto alle alluvioni che colpirono la Germania in quell’estate: e a cui tanto sono somigliate quelle delle scorse settimane. Ma si trattò di un successo effimero: tre anni dopo la coalizione rosso-verde dovette gettare la spugna in anticipo, lasciando il cancellierato all’emergentissima leader Cdu, Angela Merkel.
Sconfitto sul terreno politico, Schroeder non ebbe però difficoltà a reinventarsi in un ruolo di grande lobbista geopolitico. Già nel 2006 divenne presidente del consorzio Nord Stream, su indicazione di Gazprom, gigante energetico statale russo. La realizzazione completa del progetto di gasdotto baltico fra Russia e Germania – di cui Schroeder aveva gettato le basi assieme a Vladimir Putin, da poco approdato al Cremlino – è ora a tutti gli effetti una delle eredità del lungo “regno” della Merkel: che nel 2011 ha inaugurato (con Putin) Nord Stream 1 e ora si congeda dalla cancelleria di Berlino con il definitivo via libera a Nord Stream 2 da parte degli Usa.
Gli osservatori si stanno naturalmente concentrando sugli aspetti tattici del passaggio. Merkel, un ultimo saggio di indubbia capacità di manovra globale, sfruttando, da un lato, la volontà del presidente Usa Joe Biden di riagganciare l’Europa nel quadro della nuova “confrontation” con la Cina; dall’altro, la relativa debolezza della declinante Russia putiniana: sfiancata anche da anni di sanzioni economiche occidentali. E su questo fronte delicato Merkel sembra aver ottenuto un successo tutt’altro che neutro sull’avvicinamento al voto del 26 settembre.
È nota l’avversione dell’establishment economico-finanziario tedesco ai muri commerciali eretti ad Est (verso la Russia ma anche verso la Cina) dal posizionamento euroatlantico della Germania. La cancelliere uscente è riuscita ora a incassare a vantaggio dell’intera Azienda-Germania una fase distensiva verso Mosca: una fase non priva di aspetti positivi anche nelle relazioni con l’America, in crisi da prima del quadriennio di Donald Trump. Difficile che i potentati industriali tedeschi (nei quali i sindacati restano importanti) non vedano con occhio migliore la candidatura in sé incolore del cristiano-democratico Armin Laschet come successore di Merkel. Del resto proprio il caso Schroeder – a lungo chiacchierato – ha confermato quali dinamiche profonde muovano nel lungo periodo l’agenda di un Paese come la Germania.
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