Dopo il 1989 in Europa è tornata la Germania unita. All’inizio una nazione quasi timida, felice d’esser accolta unita e non più a metà in quella Cee che stava per diventare Ue; dal 2000 una Germania sempre più egemone, ma ancora “marcata” da Francia, Italia e Gran Bretagna. Dopo la crisi del debito greco e la Brexit il ruolo tedesco si è quasi confuso con quello comunitario, con Gran Bretagna fuori dai giochi, Italia sempre più debole a livello di peso specifico e politicamente includente, Francia ancora in grado d’incidere, ma sempre tenendo presente l’interesse nazionale.



Interesse nazionale tedesco che pare molto spesso essere simile a quello europeo, il gioco (o giogo) di Berlino è stato banale: creare una Ue a propria immagine economica, con moneta forte, debito contenuto e zero flessibilità. Parametri tarati su misura e calzanti a quel Nord Europa assai severo con il Sud, che invece basava tutto sulla flessibilità (e non ci sono teorie economiche a livello scientifico che dicano sia un male).



Ma da Berlino partono puntualmente anatemi contro chiunque non faccia “i compiti a casa”, mediante tagli alla spesa pubblica (nonostante le crisi economiche esplodano dai debiti privati, contenutissimi in Italia) rispetto dei parametri su indebitamento e rapporto debito/Pil. E con il divieto di aiutare le aziende (perfino Obama lo fece) tramite lo Stato e un controllo severo sui conti.

Ma dietro a questo rigore ferreo e austero (per qualcuno serietà) il gruppo Lufthansa, che include anche Swiss Air, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Eurowings e l’italiana Air Dolomiti, verrà salvato grazie a un intervento dello Stato tedesco, che entra (vent’anni dopo la privatizzazione) nell’azionariato della compagnia, quale primo azionista, con un 20% di quote e 9 miliardi. Ovviamente Berlino parla di “partecipazione silente” e tenta di mettere le mani avanti di fronte a un’operazione che lei stessa contesterebbe a qualunque altro Stato.



Un particolare: 3 miliardi dovrebbero arrivare nelle casse di Lufthansa in forma di prestiti dalla banca pubblica KfW (alla cifra partecipano anche banche private per 600 milioni di euro), che dal 2011 aiuta con diversi miliardi le Pmi tedesche, il tutto fuori dal perimetro del debito (lo fa anche Cassa depositi e prestiti in Italia, ma a debito, e qui qualche politico seduto in Europa dovrebbe darci qualche spiegazione razionale sul diverso trattamento). Ciò ha conseguenze molto rilevanti a livello di rating e di accesso a crediti vari, visto che il parametro base è il rapporto debito/Pil, approccio fortemente voluto da Berlino in passato.

Nonostante il governo sia il primo azionista, il ministro dell’Economia, Peter Altmaier (Cdu), ha confermato quanto già dichiarato dalla compagnia: la partecipazione sarà silente e lo Stato non interferirà nelle singole decisioni operative del gruppo. Una dichiarazione ad hoc per Ue e Borse.

Il tutto, però, dovrà passare dalla commissione Ue, che vorrebbe prendere i diritti di decollo e di atterraggio nelle sedi principali di Francoforte e Monaco di Baviera. Su questo punto la Merkel non ci sta, infatti si sono già scaldati i motori della stampa tedesca. “Battaglia dura ma giusta” si legge sui principali quotidiani tedeschi, e a nessuno viene in mente di scrivere due righe sull’ipotetico aiuto di Stato, in teoria vietato.

Entra in tackle anche Volker Bouffier, governatore dell’Assia: “Dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che l’importante hub del traffico aereo internazionale di Francoforte non sia limitato”, ha dichiarato tramite Handelsblatt, bollando le richieste Ue come “inadeguate e dannose per la posizione aerea della Germania”. Vi immaginate la stessa trattativa con Alitalia e Roma?

Ma se Lutfhansa ride, con il Dieselgate si rischia qualcosa. Come non ricordare lo scandalo legato alle emissioni truccate che ha coinvolto il gruppo Volkswagen? È in arrivo un nuovo risarcimento per tutti i clienti del brand: lo ha stabilito la Corte di giustizia federale tedesca di Karlsruhe. Sessantamila cause in tutto e una montagna di danni. Una decisione che apre a nuovi scenari e che costringerà Volkswagen a fare i conti con nuovi rimborsi milionari, che peseranno in maniera importante sul bilancio.

Milioni di euro e danni d’immagine per la casa tedesca, che però pare rientrare nella catena di aiuti di Stato stanziati dalla Merkel nel vortice da mille miliardi approvato tra marzo e aprile. Una cifra che va ad aggiungersi agli “ammortizzatori” della KfW alle Pmi e alla libertà di bilancio per gli Stati tedeschi (i Länder), che a larga maggioranza sono in rosso. È utile ricordare che le Regioni italiane invece rispettano un Patto di stabilità che impedisce loro di assumere o spendere eventuali disavanzi.

Ricordiamo, poi, che KfW ha una doppia partecipazione statale: poste e telefonia tedesche. Il modus operandi della Merkel in campo economico è chiarissimo: la metà circa degli aiuti di Stato approvati dall’Unione Europea riguardano Berlino, ma lo si fa notare poco. Nei fatti la banca per lo sviluppo KfW e il fondo di stabilizzazione danno garanzie pubbliche di ammontare virtualmente illimitato sui nuovi prestiti, una fonte infinita. Il Wfs (fondo di stabilizzazione), inoltre, può entrare nel capitale delle maggiori imprese in difficoltà fino a 100 miliardi e la KfW può fornire 100 miliardi di rifinanziamento in collaborazione con le banche commerciali. Un meccanismo assai particolare e non del tutto in linea con i dettami Ue.

In periodo di Mes e Recovery Fund, ricordiamo queste parole rilasciate a Repubblica dall’ex ministro delle Finanze greco, Eukleidis Tsakalotos (che con Tsipras ha portato il paese fuori dall’era della Troika): “Nel 2010 la Ue ha sostenuto la Grecia con un salvataggio che – come scrisse allora il Wall Street Journal – era cruciale per salvare quelle banche che detenevano titoli di Stato greci. Chi erano? Quelle tedesche, olandesi e francesi, non quelle italiane e spagnole. Ma sia Madrid che Roma hanno contribuito al salvataggio greco. Trasferendo risorse, in concreto, verso le economie più ricche. Adesso che sono Italia e Spagna a chiedere, il Nord si rifiuta di restituire il favore. È difficile immaginare un’ipocrisia più grande”.

Insomma, pare tutta Europa sia paese, parafrasando un noto proverbio…