In Germania è cambiato il governo, ma la filosofia dei conti pubblici è rimasta la stessa: il rigore. Con conseguenze facilmente prevedibili sulle politiche fiscali dell’Unione Europea. Ad impersonare l’ortodossia neoliberale è Christian Lindner (Fdp), primo liberale alle Finanze nella storia della Repubblica federale tedesca. “Il suo ruolo lo vedrà in perenne confronto-scontro con due mastini della politica come Robert Habeck e Olaf Scholz” commenta, da Berlino, Edoardo Laudisi, scrittore e traduttore. Quando i verdi vorranno allentare i cordoni della borsa per finanziare la rivoluzione verde, cosa farà Lindner? Secondo Laudisi non è detto che riuscirà sempre ad attivare il freno di emergenza, anche se questo ruolo potrebbe far comodo a tutti.
Ecco una prima valutazione degli equilibri interni alla coalizione “semaforo” vista da Berlino. Con importanti ricadute a livello europeo su pareggio di bilancio (“ritorno all’austerity per tutti”), transizione verde, lavoro. Ma c’è posto anche per il “Trattato del Quirinale”.
L’accordo di governo è stato trovato. Qual è la pedina che ha condizionato il resto?
Più che una pedina in particolare, molto più semplicemente i verdi hanno ridimensionato le aspettative dell’ala più intransigente al loro interno, che aspirava a una rivoluzione totale, e trovato il punto di connessione con la Spd.
Hanno fatto presto.
In Germania i tempi di formazione dei governi sono funzionali all’accordo sul programma. Il Merkel IV si formò nel gennaio 2018, quattro mesi dopo le elezioni. Sotto questo punto di vista il nuovo governo ha fatto molto meglio. I partiti avevano una gran voglia di andare a governare.
Qual è la vera importanza di Christian Lindner (Fdp), nelle trattative e nel risultato finale?
Un liberale all’economia è il freno di emergenza voluto dal deep state tedesco, costituito da finanza e apparato industriale, a garanzia che le derive ambientali dei verdi e quelle social-populiste di Scholz non stravolgano il sistema. Ma, paradossalmente, è anche una necessità per Spd e Verdi.
Perché?
Anche se volessero, né Scholz né Annalena Baerbock potrebbero tirare il freno di emergenza senza doversi rimangiare una parte delle promesse elettorali. Lindner invece può farlo, è il suo lavoro.
Si può dire che la poltrona delle Finanze a un liberale come lui sia il vero segno distintivo del governo?
Sì e no. Di Lindner alle Finanze si è parlato fin da subito; quindi, in un certo senso la notizia non sorprende. Però è anche vero che questa è la prima volta nella storia della Repubblica Federale che le Finanze vanno a un liberale. Lindner stesso non aveva messo nessuna condizione in tal senso, anche se era chiaro che puntava a quel ministero. È risaputo che chi amministra i soldi può dire la sua su tutto, e questo rende il ministero delle Finanze uno dei dicasteri più importanti e ambiti. Soprattutto oggi.
Ci sono delle incognite?
Resta da vedere se il presidente dei liberali possiede il physique du rôle per ricoprire un ruolo così delicato, che lo vedrà in perenne confronto-scontro con due mastini della politica come Robert Habeck e Olaf Scholz. Dal punto di vista dialettico certamente sì, Lindner è un politico raffinato ed intelligente…
Ma?
I dubbi sono piuttosto caratteriali. Lindner non è conosciuto per il coraggio delle sue azioni, e per tenere a bada verdi e socialdemocratici ne avrà bisogno.
Qual è la sua posizione su rigore e patto di stabilità?
Lindner ha già dichiarato che il pareggio di bilancio deve assolutamente tornare entro il 2023. Il che significa ritorno all’austerity per tutti, in Germania e in Europa, e certamente non gioca a favore di una revisione progressista del patto di stabilità. Qui però va ribadito un concetto che in Italia si stenta a capire per via di una certa pigrizia mentale che scansa i ragionamenti critici troppo impegnativi.
Che cosa intende?
Il patto di stabilità non è un fine, se lo fosse chi lo propone sarebbe ben ottuso, dal momento che crea l’opposto di quanto voluto, vale a dire sofferenze e instabilità. Il patto è un mezzo, una strategia che ha lo scopo di stabilire una gerarchia precisa tra gli Stati membri della Ue. Chi rispetta il patto di stabilità sta sopra e comanda, chi non riesce a rispettarlo sta sotto e asseconda. È ovvio che chi è sopra e vuole restarci, ha tutto l’interesse a mantenere alta l’asticella e quindi a tenere le condizioni del patto il più rigide possibile, e sarà disposto a cambiarle soltanto se le condizioni dovessero diventare troppo estreme perfino per lui.
È per questo che ad un certo punto la Germania è sembrata possibilista?
Sì. Nel momento più buio della pandemia, quando tutti i paesi erano in lockdown e l’economia mondiale era bloccata, la Germania si è lasciata andare a fantasie progressiste. Oggi però le cose sono cambiate, le economie stanno ripartendo e quindi perché cambiare?
E Scholz che ne pensa?
Per il momento Scholz può essere soddisfatto. Ha raggiunto sia l’obiettivo principale, che era quello di diventare cancelliere, sia quello secondario, che era di marcare il contratto di governo con un’impronta vagamente progressista, incassando l’aumento del salario minimo a 12 euro l’ora (erano 9,60) e coprirsi a sinistra.
Tutto liscio dunque?
In realtà no. Per via della resistenza dei liberali non è passata la sua richiesta di riforma dei contratti a tempo determinato, cha la Spd voleva rendere più difficili a vantaggio dei contratti a tempo indeterminato. Un esempio in scala ridotta di come dovrebbe funzionare il freno di emergenza della Fdp. Vedremo se Lindner saprà azionarlo anche per questioni più “pesanti” come le pressioni, che sicuramente arriveranno, dei Grünen sul sistema fiscale per finanziare la rivoluzione verde.
Annalena Baerbock e Robert Habeck sono entrambi leader dei verdi. La prima ha ottenuto gli Esteri, il secondo un dicastero nuovo. Cosa può dirci in proposito?
Qui siamo in piena volontà rinnovatrice. Il sogno rivoluzionario dei verdi rimane intatto, nonostante sia stato raffreddato dal risultato elettorale molto al di sotto delle aspettative. La Baerbock agli Esteri dà spinta internazionale ai punti programmatici che i verdi hanno imposto nel contratto di governo, e che vorrebbero applicare in tutta la Ue.
Possiamo ricapitolarli?
L’uscita dal carbone entro il 2038, meglio ancora nel 2030, l’immissione entro il 2030 di 15 milioni di auto elettriche nel mercato interno e la produzione dell’80% di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili entro il 2030. Nei verdi però si sta scatenando una lotta interna.
Tra chi?
Tra realos, più pragmatici e inclini al compromesso, e revolucionarios, per i quali la rivoluzione verde non può essere un pranzo di gala e quindi non si devono fare prigionieri. I secondi hanno protestato per il fatto che nel programma non sia stata indicata una data di uscita dal gas naturale. Si sono dovuti accontentare dello stop alla ricerca di nuovi giacimenti nel Mare del Nord.
E questo conflitto che conseguenze potrebbe avere?
Potrebbe pesare sulla formazione del nuovo governo, rendendo complicata la scelta di alcuni ministri. Oltre agli Esteri, ai Grünen andrà un altro dicastero strategico, il Klima und Wirtschaftsministers, il ministero del Clima e dell’Economia, che fonde l’ex ministero dell’Economia e dell’Energia con quello dell’Ambiente. Un superministero che avrà il potere di verificare dal punto di vista dell’impatto ambientale, ogni legge, provvedimento, regolazione e capitolo di spesa del governo.
In pratica cosa significa?
Vuol dire che Robert Habeck, il segretario dei verdi che lo presiederà, avrà parola su tutto. Forse questo è il colpo più importante messo a segno dai verdi.
C’è feeling tra i tedeschi e il nuovo governo?
L’affluenza alle urne delle ultime elezioni è stata del 76,6%, lontanissima da quel 90% del 1976 ma anche dall’82,2% del 1998. La sensazione è che nell’elettorato ci sia disaffezione nei confronti della politica. Su temi molto sentiti come l’immigrazione, la politica sanitaria o le relazioni con la Russia, le posizioni dei politici tedeschi seguono logiche distanti dal sentire dei cittadini. Ora sul piatto c’è il grande tema del cambiamento climatico. Molto dipenderà da come sarà gestita la transizione energetica. Se verrà imposta dall’alto come sono state imposte le politiche sanitarie, il distacco politica-cittadini potrebbe diventare maggiore. Ma forse è proprio quello che si vuole.
C’è un sentiment prevalente nelle persone?
Direi che nonostante i grandi progetti di cambiamento progressista messi nero su bianco nel contratto di governo, il sentiment rimane freddino. Non vedo l’entusiasmo che dovrebbe accompagnare un nuovo corso, e questo nonostante gli sforzi dei media mainstream per scaldare il pubblico e indurlo all’applauso.
La formazione del governo ha suscitato interesse oppure l’attenzione era su altro?
L’allarme anti-Covid per la quarta ondata ha coperto ogni cosa, per cui la formazione del nuovo governo è stata un po’ come un rumore in sottofondo di cui si prende atto senza preoccuparsi di capire da dove provenga o cosa significhi.
Esiste la possibilità che i partiti boccino l’accordo?
Assolutamente no, les jeux sont faits.
Come viene visto dai media tedeschi il trattato tra Francia e Italia firmato venerdì?
In un articolo molto interessante, il settimanale Die Zeit ha scritto la frase definitiva sul trattato italo-francese: “Il trattato (tra Macron e Draghi) non cambierà l’equilibrio dei poteri tra gli Stati europei”. Stop. Purtroppo in Italia non si è ancora capito che l’Europa non è Camelot e i cavalieri della tavola rotonda, ma un luogo dove vigono le regole ferree della realpolitik più cinica.
In Germania invece?
I tedeschi sono pragmatici e sanno che certi trattati come quello stipulato tra Macron e Draghi servono più che altro ai leader politici per consolidare le loro posizioni di potere nei rispettivi paesi. La polpa si discute nella Ue, la ciccia è nei trattati di Maastricht e Lisbona con i loro vincoli di acciaio che determinano una precisa gerarchia delle nazioni. E questa è abbastanza chiara: Germania e Francia sopra, sotto tutti gli altri.
(Federico Ferraù)
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