CHI SONO I GESUITI

Papa Francesco è e resterà il primo Pontefice gesuita della storia: a 9 anni dalla sua elezione al Conclave, con l’importante e “innovativa” intervista tv di questa sera a “Che tempo che fa” Bergoglio racconterà anche il suo particolare legame con il mondo dei gesuiti. Un rapporto solido e in costante evoluzione che non ha però evitato negli scorsi anni diverse polemiche e attriti all’interno della Chiesa, specie per come spesso viene rappresentata la “Compagnia di Gesù” (dal latino Societas Iesu, da qui la sigla S.I. che precede il nome dei propri membri).



L’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola nel 1534 divenne nei secoli successivi uno dei principali cardini dell’evangelizzazione e missione cattolica in tutto il mondo: dalla bolla “Regimini militantis ecclesiae” di Papa Paolo III con il quale i gesuiti vennero definitivamente approvati dal Vaticano fino ai giorni nostri, le vicende della Chiesa si legano a doppio filo ai vari periodi di splendore e di crisi che ha attraversato la Compagnia di Gesù. Voto totale di obbedienza al Papa, particolarmente impegnati per educazione e missioni, l’ordine dei gesuiti si è diffuso in ogni parte del globo: «Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l’uomo», recita un motto gesuita che ben fa capire l’importanza capitale dell’educazione per la Compagnia, il tutto al servizio della diffusione del messaggio cristiano.



LA COMPAGNIA DI GESÙ E IL LEGAME CON PAPA FRANCESCO

«Siate padri, non padroni, che fanno le cose per bene e poi si ritirano senza essere possessivi. Ma soprattutto umili, specie di fronte al calo numerico determinato dalla crisi vocazionale, da non interpretare al livello della spiegazione sociologica»: così Papa Francesco raccontava ai suoi confratelli gesuiti durante l’ultimo viaggio apostolico in Grecia dello scorso dicembre. Il dialogo franco e libero richiesto dal Santo Padre ala Nunziatura della Compagnia con sede ad Atene guarda all’intero rapporto fitto tra Papa Francesco e il suo ordine di provenienza: «Una cosa che richiama l’attenzione è il debilitarsi della Compagnia», spiegava ancora il Santo Padre in Grecia. Come l’intero cristianesimo, i numeri delle vocazioni sono in netta discesa: «Questo dato è comune a tanti Ordini e Congregazioni religiose. Ha un significato, e noi dobbiamo chiederci quale sia. In definitiva, questa diminuzione non dipende da noi», chiarisce il primo Papa gesuita della storia. Più volte durante il suo Pontificato, davanti alle critiche sorte anche all’interno della Chiesa per il ruolo dei gesuiti e per la complessa “attualità” degli Esercizi Spirituali lanciati da Sant’Ignazio, il Papa ha risposto come nel suo ultimo viaggio ad Atene: prima di tutto, «La vocazione la manda il Signore. Se non viene, non dipende da noi». Il calo generale è quindi «un insegnamento per la vita religiosa. Per i gesuiti ha un significato nel senso dell’umiliazione». In merito alla crisi vocazionale il gesuita non può rimanere al livello della spiegazione sociologica, avverte il Papa: «Questa è, al limite, la metà del vero. La verità più profonda è che il Signore ci porta a questa umiliazione dei numeri per aprire a ciascuno la via al ‘terzo grado di umiltà’, che è l’unica fecondità gesuitica che vale». Francesco invita tutti i gesuiti, così come gli altri ordini nella Chiesa del terzo millennio a non essere “possessivi” con l’altro: «Quando uno avvia un processo, deve lasciare che si sviluppi, che un’opera cresca, e poi ritirarsi. Ogni gesuita deve fare così. Nessuna opera gli appartiene, perché è del Signore. Così esprime indifferenza creativa. Deve essere padre, e lasciare che il bambino cresca. Questa è una grande attitudine: far tutto bene e poi ritirarsi, senza essere possessivi». Nel recente dialogo con i gesuiti della Slovacchia che chiedevano al Santo Padre come poter far fronte ai problemi anche enormi del rapporto tra fede e modernità, il Papa rispondeva loro della necessitò della vicinanza con Dio: «non lasciare la preghiera! La preghiera vera, del cuore, non quella formale che non tocca il cuore. La preghiera che lotta con Dio, e che conosce il deserto dove non si sente nulla. Vicinanza con Dio: lui ci aspetta sempre. Potremmo avere la tentazione di dire: non posso pregare perché sono indaffarato. Ma anche lui è indaffarato. Lo è stando accanto a te, aspettandoti».



IL “NODO” DISCERNIMENTO

Dalla Cina alle Indie, dal Sud America al Giappone, passando per l’Europa sempre più secolarizzata degli ultimi secoli: i gesuiti hanno viaggiato e viaggiano molto, spesso però portandosi dietro la nomea di essere “troppo vicini ai “potenti” per potersi realmente distinguere con un pensiero originale e di “rottura” con la mentalità presente. La tradizione della Compagnia di Gesù è però estremamente legata alla enfasi iniziale di Sant’Ignazio, dedicata principalmente al discernimento. Come più volte indicato da papa Francesco nel corso del suo magistero,, «oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento, nella capacità di discernere». Come spiega lo stesso regolamento e insegnamento della Compagnia, il discernimento significa in prima battuta mettere a tema «le occasioni o gli ambiti in cui sperimentiamo il dubbio, l’incertezza, la fatica di capire qual è la cosa giusta da fare, la direzione verso cui muovere il prossimo passo, che si tratti delle grandi decisioni della vita o delle tante opzioni che orientano il nostro stile di vita». In secondo luogo, la pratica del discernimento gesuita è una realtà relazionale, un insegnamento sul decifrare come Dio «mi si comunica e mi salva». I maestri della Compagnia distinguono due tappe fondamentali per il discernimento: «una prima di purificazione, che porta ad un’autentica conoscenza di sé in Dio e di Dio nella propria storia, e una seconda in cui il discernimento diviene una attitudine continua».