Gherardo Colombo, ex magistrato e pm di Mani Pulite e del delitto Ambrosoli, ha rilasciato in queste ore un’intervista ai colleghi dell'”Huffington Post” nella quale esprime il proprio giudizio sulla riforma della Giustizia dopo la sua approvazione in Consiglio dei Ministri. Secondo l’esperto, la mediazione individuata sulla prescrizione rappresenta una soluzione in grado di eliminare la possibilità che si possa rimanere sotto processo a vita; infatti, “gli effetti consistono nel proscioglimento dell’imputato, se la durata del processo in grado d’appello o in Cassazione supera i termini di improcedibilità stabiliti dall’articolo 14 bis del provvedimento”.
Tuttavia, l’ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sostiene che con questo meccanismo si paleseranno numerosi casi di impunità, ma, a detta di Colombo tutto dipenderà da come il sistema processuale risponderà alle altre modifiche introdotte dalla legge delega in tema di impugnazioni, di facilitazioni a soluzioni alternative a quella che passa attraverso il dibattimento, ai rimedi tendenti ad evitare che si vada a processo anche quando gli elementi di prova sono insufficienti per ottenere la condanna. “Il nodo, a mio parere, sta da un’altra parte ed è, per certi versi, filosofico: si tratta di scegliere tra il rischio di tenere sotto processo a vita una persona innocente e il rischio che un colpevole possa non essere condannato”.
GHERARDO COLOMBO: “GIUSTIZIA NON VUOLE DIRE VENDETTA”
L’ex magistrato Gherardo Colombo, ai microfoni dell'”Huffington Post”, ha poi sottolineato come “giustizia” non sia sinonimo di “vendetta” e che non è sicuro che l’esigenza di giustizia della vittima consista nella condanna del responsabile, magari addirittura dopo che la vittima ha smesso di soffrire per il male subìto: “Vorrebbe dire che le migliaia di anni trascorse dal codice di Hammurabi, che aveva introdotto la regola ‘occhio per occhio, dente per dente’, sono trascorse invano”, ha commentato.
A detta di Colombo, la visione della pena come strumento per far soffrire non serve a nulla e il carcere è “criminogeno, piuttosto che rieducativo”. Successivamente, ha citato la Costituzione che, all’articolo 27, stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. “La frase ci dice più cose – ha evidenziato –: parlando di ‘pene’ e non di ‘pena’ stabilisce che debbano esistere non solo la pena per antonomasia, quella del carcere, ma anche altri tipi di pena, come le sanzioni alternative, che sono applicate già ora e che riabilitano a rientrare nella comunità molto più del carcere. Se vogliamo sicurezza, dobbiamo garantire la dignità di tutti, ricorrendo al carcere soltanto quando è assolutamente indispensabile per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini”.