Per capire l’impatto del riscaldamento globale, la sua storia e la sua evoluzione, bisogna partire dai ghiacciai. Ed è proprio questo l’obiettivo del progetto ClimADA, che da aprile del 2021 sta indagando il ghiacciaio più esteso, più profondo e più “caldo” d’Italia, quello dell’Adamello, nel cuore delle Alpi retiche, a poche centinaia di chilometri dalla Pianura Padana. ClimADA ha l’ambizione di ricostruire l’evoluzione climatica degli ultimi secoli, la dinamica delle specie vegetali presenti e l’impatto delle attività umane nell’area alpine.
Per fare il punto su quanto si è scoperto a metà percorso (il progetto si chiuderà nel 2023) Fondazione Lombardia per l’Ambiente, capofila del progetto, che è cofinanziato da Fondazione Cariplo, ha organizzato, con il patrocinio del Comitato Glaciologico Italiano e della Società Italiana delle Scienze del Clima, il convegno “L’impatto del cambiamento climatico sui ghiacciai alpini: il caso dell’Adamello”.
I ghiacciai, infatti, sono le “sentinelle” della deriva climatica, e come ha ricordato Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e clima di Regione Lombardia, “al pari della plastica in mare, il loro scioglimento è un fenomeno che colpisce molto e aiuta a creare una coscienza più acuta sul tema del cambiamento climatico”. Ecco perché è importante studiare a fondo massa, superficie e fronti glaciali.
Grazie al progetto ClimADA, “un unicum a livello internazionale – ha ricordato Valter Maggi, Università di Milano Bicocca – perché per la prima volta si è perforato un ghiacciaio sotto i 4.000 metri”, è stata infatti estratta, a una profondità di 224 metri una carota di ghiaccio (ovvero un campione di forma cilindrica), denominata ADA270, studiata poi a pezzi dalle università lombarde, grazie anche all’aiuto di quattro cavi in fibra ottica, in grado di registrare i dati relativi ai profili verticali di temperatura e anche i profili di deformazione (strain) del ghiacciaio. Grazie a questa carota sono così iniziate le misurazioni delle temperature, delle precipitazioni, dei gas serra, degli inquinanti gassosi, dei pollini, del materiale vegetale che si sono via via stoccati in almeno quattro periodi diversi: il periodo industriale, la Prima guerra mondiale (per valutare anche l’impatto delle operazioni belliche sulle aree montane); la Piccola età glaciale del periodo pre-industriale; infine, studiando gli ultimi trenta metri alla base della carota, si potrà invece studiare l’evoluzione climatico ambientale degli ultimi mille anni.
Ma che cosa racconta la carota glaciale, ospitata e analizzata presso l’EuroCold Lab della Bicocca? E’ stato lo stesso Maggi a illustrarlo: “Consente una ricostruzione accurata della sua evoluzione climatico-ambientale e grazie al metodo iperspettrale è stato possibile, non solo rilevare il pesante impatto delle attività antropiche, visto che l’Adamello è molto vicino a un’area come la Pianura Padana, ma anche individuare polveri fini e pollini che arrivano dall’Africa e che contribuiscono ad aumentare il livello di fusione del ghiaccio in un ghiacciaio che si sta ritirando in modo preoccupante”.
A fornire una fotografia, accurata e allarmante, dello stato di salute del ghiacciaio dell’Adamello sono stati i numeri snocciolati dal professor Roberto Ranzi, dell’Università di Brescia: “Questo ghiacciaio ha perso la sua uniformità: ogni anno si riduce di 4-5 metri, a quota 2.500 metri lo scioglimento delle nevi ha creato un lago nuovissimo, che ora costringe gli escursionisti a trovare percorsi alternativi, altrimenti dovrebbero attraversarlo con le pinne, attorno al Corno Bianco si trova pi roccia che ghiaccio e il confronto tra il 2008 e il 2022 sull’innvamento è addirittura impietoso. Non solo: oggi il ghiacciaio assorbe non pi il 10%, ma il 70% della luce radiante, fenomeno che ne accelera il processo di fusione”. La diagnosi finale? “Il ghiacciaio è vittima di una progressiva erosione e i dati finora raccolti ci dicono che il destino di questo corpo glaciale è segnato: potrebbe scomparire prima della fine di questo secolo”.
Intanto la scienza, proprio con il progetto ClimADA, ha iniziato un’azione di monitoraggio, aiutata anche dalle nuove tecnologie. “L’impiego delle fibre ottiche, che hanno dimostrato di saper resistere alle fredde temperature – ha sottolineato Mario Martinelli del Politecnico di Milano – possono offrire un contributo importante, perché consentono, attraverso la raccolta di uno spettro di dati molto ampia, di osservare come ‘vive’ il ghiacciaio. E il passo successivo potrebbe essere quello, mettendosi in ascolto dei suoni e degli ultrasuoni che arrivano dal ghiaccio, di poter garantire una diagnostica real time del ghiacciaio”.
Ma un ghiacciaio non è soltanto una massa di acqua allo stato solido, è molto di più: “E’ un ecosistema – ha spiegato Anna Bonettini (Parco dell’Adamello) – a volte trascurato, che cambia in continuazione, racchiude informazioni importanti”. E ha aggiunto: “Ecco perché nell’attività di educazione, informazione e formazione ambientale, accanto ai numeri inossidabili della scienza, occorre creare un coinvolgimento emotivo, perché solo un’empatia spinge poi a cambiare gli stili di vita, in un’ottica di maggiore salvaguardia ambientale”.
A chiusura del convegno Fabrizio Piccarolo, direttore di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, ricordando che “proprio l’area mediterranea, in cui è inserito il ghiacciaio dell’Adamello e molti ghiacciai alpini lombardi, subirà incrementi di temperatura maggiori della media mondiale. Ciò deve spingere tutti a un’azione urgente e proprio il progetto ClimADA, un esempio straordinario di sinergia scientifica, può fornire numerose informazioni per la comprensione delle dinamiche climatiche e ambientali della regione alpina”.
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