Com’è avvenuto con moltissimi film di culto degli anni ’80, per anni si è parlato di un possibile Ghostbusters 3, ma sembrava più una richiesta dei fan che una vera e propria esigenza produttiva, a maggior ragione che il tentativo di ripartenza al femminile del 2016 fu un discreto insuccesso, soprattutto da parte degli appassionati. Per non farli arrabbiare, anzi per onorare il ricordo dei due film diretti da Ivan Reitman, il figlio Jason ha realizzato quindi Ghostbusters: Legacy (apertura di Alice nella città), in cui il testimone passa a un gruppo di ragazzini.



Dedicato a Harold Ramis, che degli originali era interprete e sceneggiatore, parte proprio dalla sua scomparsa, o meglio, da quella del suo personaggio Egon Spengler: alla sua morte, la figlia e i nipoti partono verso la casa di campagna in cui si era isolato per fare un po’ di ordine, ma scopriranno molto più di quello che avrebbero voluto sapere, soprattutto la figlia piccola, Phoebe, è pronta a prendere l’eredità del nonno. 



Scritto da Reitman jr assieme a Gil Kenan, Ghostbusters Legacy parla proprio di eredità, come dice il titolo internazionale, mentre quello originale parla di Afterlife, ovvero di vita oltre la morte: in entrambi i casi è la figura di un passato morto a diventare il centro di attenzione del film che prova a giocare la carta Stranger Things e a radunare un gruppo di protagonisti adolescenti, tra cui Finn Wolfhard che della serie Netflix è tra i protagonisti.

Ai due Reitman – il padre Ivan figura come produttore – e alla produzione interessava soprattutto riconquistare quel pubblico nostalgico, giocando sulle attese e i feticci che i pluriquarantenni hanno coltivato dal 1984 a oggi, partendo dagli oggetti di scena fino agli attori passando per le stesse immagini del passato riutilizzate come video YouTube. Grazie alla presenza dei ragazzini, il film si smarca dalle possibili accuse di nostalgia, ma al tempo stesso va oltre, nutre proprio il feticismo del suo pubblico fingendo di parlare ad altri.



È un film ibrido e un po’ bicefalo Ghostbusters Legacy: da una parte è puro fan service, stracolmo di strizzate d’occhio e giochini per far sobbalzare il fan nerd, che usa il passato togliendolo dalla Storia, quasi deumanizzandolo e riducendolo a puro oggetto necrofilo da venerare a prescindere dai contesti; dall’altra è un’opera avventurosa che prova a reinventare i film Amblin, le avventure adolescenziali piene di mostri e spiriti provando a venderli alle nuove generazioni.

Come singolo film fantastico, quello di Reitman ha un suo senso, ha un paio di belle sequenze spettacolari e un giusto senso dell’umorismo, i ragazzini sono bravi e i due adulti Paul Rudd e Carrie Coon hanno una bella intesa finendo così per confezionare del buon intrattenimento; ma rispetto al mercato contemporaneo è un film sterile, che usa il passato come le foto commemorative sulle lapidi, togliendolo dalla Storia e lasciandolo dentro il meccanismo del consumo cinematografico. 

Al singolo spettatore questo distinguo interessa molto poco, probabilmente, ma qual è questo singolo spettatore? Il nostalgico ha interesse nell’eredità degli adolescenti? E i più giovani sanno cosa farsene di feticci come gli Acchiappafantasmi? Capiremo nel futuro, per ora ci resta il beneficio del dubbio.

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