“Cari amici, tengo a essere ricordato per la concezione giuridica dell’amore, per la scienza del pensiero (inconscio)”. Giacomo Bernardo Contri ha scritto questo messaggio telegrafico il 16 dicembre 2021 ai soci della “Società degli Amici del Pensiero S. Freud”, da lui fondata e presieduta. Il 15 gennaio 2022 ha tenuto ad aggiungere alle due parole: amore e pensiero (inconscio), la parola fede. Venerdì 21 gennaio Giacomo B. Contri è morto. Formula asciutta, senza fronzoli come a lui sarebbe piaciuta. Non ha mai concesso molto alla morte, alle paure della morte, alle angosce nei suoi confronti. Contri su questo tagliava corto: l’angoscia di morte è sempre angoscia di vita, perché l’al di là è già presente, l’al di là è il corpo, come al di là dell’organismo. Nessuno vive nell’al di qua. La vita – paradiso, inferno o purgatorio che sia – è sempre al di là. Cioè pulsione, rivoluzionaria parola freudiana che Contri ha ribattezzato “legge di moto del corpo” elaborata dal pensiero – sempre incarnato – del soggetto. Contri non aveva paura della morte, della propria, che ha saputo pensare ben prima del suo arrivo in un terso venerdì di gennaio a Milano.



Lo ricordo in più occasioni citare a memoria il Nunc dimittis Domine (ora lascia o Signore…) come il cantico della conclusione, della soddisfazione, della meta raggiunta. Al termine di uno dei suoi più importanti lavori, Il Pensiero di Natura (1993, poi rieditato più volte), era solito dire di “non aver più nulla da fare”. Nulla da dover ancora raggiungere ma non per questo temeva che venisse a mancare la voglia, l’eccitamento – parola che amava – in particolare di lavorare, con le parole, con la scrittura, con la cura delle tante persone che per decenni a lui si sono rivolte con motivata fiducia.



Alla psicoanalisi Contri ha consegnato la sua vita di professionista, scienziato del pensiero, intellettuale originale e autorevole, uomo che dalla pratica indefessa dell’analisi ha ricavato i principali insegnamenti universali, sino a porre “il regime dell’appuntamento” (ovvero quello che regola il rapporto terapeuta-paziente) come il regime di ogni sana relazione. L’appuntamento sarà stato solo se avrà generato il profitto, nel caso del paziente: la guarigione, coi suoi numerosi corollari. Esse est percipi, il celebre aforisma del filosofo George Berkeley, Contri lo avvera ricapitolato sotto la voce profitto, percepire in senso economico, come in un buon affare, senza il quale il rapporto scade a “interazione”. Una sorta di cic ciac epidermico senza costrutto, ovvero che nulla costruisce quand’anche sfoci in un cic ciac sessuale.



Amore, pensiero (inconscio) e fede. L’interminabile ricapitolazione su amore, un pensiero mai dato per scontato, ha posto Contri nel solco dell’insegnamento freudiano. Tutte le nostre guarigioni, scriveva Freud nel seminario del 1907, sono “guarigioni dell’amore”. E per contrasto l’inganno nell’amore sta alla base di tutte le psicopatologie. “L’amore è il diritto” è l’ultima conquista di Contri, preparata negli anni dalla messa a disposizione del prodotto del proprio pensiero in molteplici forme: scrivere, parlare, ricevere, incontrare, insegnare, per trarre a propria volta profitto dal prodotto del lavoro di altri. Contri lascia ai suoi soci (non allievi) un campo da coltivare, un’importante indicazione di ricerca, che a chi scrive ricorda la frase di San Paolo nella Lettera ai Romani “compimento della legge è l’amore”, un autore che Contri, come Freud, come Lacan, conosceva a fondo. L’insegnamento sull’inconscio di Contri si riassume in una battuta: l’inconscio è il pensiero, non c’è scienza del pensiero scartando l’inconscio: lapsus, sogno, sintomo, inibizione, angoscia, rimozione, rinnegamento. Infatti, viviamo in un’epoca dove la scienza del pensiero non c’è, perché l’inconscio è scartato, come la “pietra scartata” del Salmo 117.

Sulla fede Contri non ha mai fatto sconti, ribaltando con forza la parola fede sulla parola affidabilità. Era solito dire di non credere in Freud; per accorgersi che Freud ha ragione non serve credergli, e senza timore avrebbe detto la stessa cosa di Cristo, la fede nel quale nulla spartisce con la credenza, ma col profitto: esse est percipi. Cristo ha ragione è la tesi che Contri sostiene nei suoi scritti sul “pensiero” e sul “profitto di Cristo”. La fede non è mai cieca, è una verifica continua che si regge sul frutto, sul profitto, parola presa senza alcuna vergogna dal capitalismo.

Contri è anche stato e continuerà ad essere un maestro che molti ha chiamato alla psicoanalisi e che a molti – tra cui chi scrive – ha insegnato. Non amava atteggiarsi a maestro, e contestava che il suo fosse un insegnamento, salvo per chi vi avesse ricavato il proprio vantaggio (lavoro su lavoro). Allora, solo in questo caso, lo sarebbe stato.

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