Un testimone austriaco mi scagiona“. Sono queste le parole che Giacomo Bozzoli, fresco di arresto dopo 11 giorni di latitanza a margine della condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario Bozzoli, avrebbe detto agli inquirenti subito dopo la cattura. Una fuga conclusa in modo quasi surreale con la scoperta della sua presenza a casa, mentre lo si cercava nel resto d’Europa, nascosto nel cassettone del letto matrimoniale della sua villa a Soiano sul Garda.



Ma chi è la persona che Giacomo Bozzoli ha tirato in ballo nelle sue prime dichiarazioni al termine della parentesi da latitante? Secondo quanto ricostruisce Il Corriere della Sera, si tratterebbe di una figura già agli atti dell’inchiesta e del processo a carico del 39enne, ma mai escussa. Gli investigatori, infatti, non avrebbero ritenuto necessario acquisire la sua testimonianza per via della indubbia valenza probatoria” degli elementi già emersi a carico del giovane imprenditore, un quadro indiziario considerato così robusto da non aver bisogno di ulteriori riscontri. In sintesi, quanto raccolto a livello investigativo contro Giacomo Bozzoli è stato vagliato come sufficiente a costituire la spina dorsale dell’accusa che lo avrebbe portato al carcere a vita.



Giacomo Bozzoli all’ergastolo, chi il testimone austriaco citato nelle dichiarazioni ai pm

Il “testimone austriaco” di cui Giacomo Bozzoli ha parlato dopo la cattura, a suo dire, sarebbe in grado di scagionarlo dall’accusa di aver ucciso lo zio Mario Bozzoli e di averne gettato il cadavere nel forno della fonderia di famiglia a Marcheno (Brescia), l’8 ottobre 2015. Il 39enne all’ergastolo avrebbe ribadito la sua innocenza davanti al procuratore Francesco Prete e avrebbe inoltre annunciato, riporta Ansa, di avergli inviato una lettera che però non sarebbe stata ancora recapitata.



La persona in questione sarebbe la rappresentante di una azienda del settore metallurgico operante in Austria. Per capire il perché della sua presenza nella storia, occorre riavvolgere il nastro della cronaca fino alla morte di Giuseppe Ghirardini, l’operaio di Bozzoli trovato morto (ritenuto suicida con una capsula di cianuro) pochi giorni dopo la scomparsa del titolare Mario. Nella sua abitazione sarebbero stati trovati 4.400 euro in contanti, soldi che, per i giudici, potrebbero essergli stati dati a titolo di ricompensa e proverebbero un suo coinvolgimento nella vicenda, quantomeno un concorso nella distruzione del cadavere. Stando all’accusa, quel denaro, in banconote da 50 e 500 euro emesse dalla Banca centrale austriaca, sarebbe stato dato a Ghilardini proprio da Giacomo Bozzoli. Quest’ultimo, in base alle analisi del traffico telefonico, risulterebbe aver contattato tre utenze austriache tra la fine del maggio e l’8 giugno 2015 (quattro mesi prima del delitto) “associate a un’azienda che lavorava nel settore dei metalli, la Montanwerke Brixlegg“. Per questo, l’ipotesi investigativa che i soldi provenissero dall’imputato, per i giudici, reggerebbe in ragione del “rapporto commerciale che, sulla scorta di quei contatti, può aver intrattenuto con l’impresa austriaca“. Lo stesso Giacomo Bozzoli, però, nel 2019 avrebbe detto ai magistrati di non aver mai avuto rapporti con l’Austria, ma solo di aver contattato una volta tale rappresentante della Montanwerke. I contatti da lui ammessi in seguito, invece, sarebbero stati almeno quattro. Ora, secondo Giacomo Bozzoli, la donna sarebbe pronta a parlare e a scagionarlo sostenenendo di non avergli mai dato denaro.