Giacomo Bozzoli è stato condannato all’ergastolo in via definitiva lo scorso 1° luglio, ritenuto responsabile dell’omicidio dello zio Mario Bozzoli scomparso nel 2015 dalla fonderia di Marcheno (Brescia) e mai ritrovato. Per la giustizia italiana, fu lui la mente del delitto (che sarebbe stato commesso in concorso con gli operai Giuseppe Ghirardini, poi trovato morto dopo aver ingerito una capsula di cianuro, e Oscar Maggi, davanti al giudice il prossimo febbraio per l’udienza preliminare dopo la richiesta di rinvio a giudizio).



Il corpo dell’imprenditore, 52 anni al momento dei fatti, sarebbe stato fatto sparire proprio dentro l’azienza da cui non sarebbe mai uscito, la sera dell’8 ottobre di 9 anni fa, distrutto in uno dei grandi forni industriali dello stabilimento. Decisivo, secondo la Cassazione, l’esperimento giudiziale condotto in sede di indagini quando la carcassa di un maiale fu gettata nello stesso forno per dimostrare la possibilità di cancellare ogni resto. Per i giudici, Giacomo Bozzoli avrebbe covato un sentimento di “odio” nei confronti dello zio e avrebbe avuto un “ulteriore movente” per eliminarlo. Il 39enne si era dato alla fuga all’estero in attesa del verdetto finale e sarebbe stato arrestato dopo una breve latitanza, trovato nascosto nel cassettone del letto matrimoniale nella sua villa sul Lago di Garda all’esito di giorni di ricerche su scala internazionale.



Perché Giacomo Bozzoli è stato condannato all’ergastolo: le motivazioni della sentenza definitiva

Con la parola della Cassazione, ergastolo, si è chiusa definitivamente la vicenda processuale relativa all’omicidio di Mario Bozzoli. La Suprema Corte ha sigillato la condanna a carico del nipote della vittima, Giacomo Bozzoli, con il fine pena mai lo scorso luglio. Per la Cassazione, riporta Il Corriere citando stralci delle motivazioni della sentenza, l’assenza di prove su un “previo accordo criminoso” per l’esecuzione dell’omicidio di Mario Bozzoli non demolisce “la responsabilità concorsuale” del 39enne.



Decisivo, per i giudici che hanno confermato l’entità della pena a carico di Giacomo Bozzoli, l’esperimento giudiziale condotto con la carcassa di un suino: “I periti avevano verificato la completa carbonizzazione dell’animale e la polverizzazione dei resti” e questo dimostra che il mancato rinvenimento di materiale organico riconducibile alla vittima depone a favore della tesi d’accusa (la distruzione del cadavere dell’imprenditore in un forno della fonderia). Secondo la Cassazione, Giacomo Bozzoli odiava lo zio e avrebbe avuto “un preciso ulteriore movente” per disfarsene: in quel periodo, Mario Bozzoli sarebbe diventato troppo scomodo perché stava “indagando” sulla gestione dell’azienda di famiglia (contitolare il fratello Adelio, padre del giovane poi condannato) e in particolare su “comportamenti non ortodossi nella conduzione dell’impresa” da lui non approvati e che avrebbero visto coinvolto anche il nipote.