Sulle colonne del quotidiano “Libero” campeggia quest’oggi un’ampia intervista a Giacomo Muccioli, realizzata da Giovanni Terzi, nella quale il diretto interessato si scaglia contro il documentario “SanPa; luci e tenebre di San Patrignano”, nato con l’intento di narrare, attraverso interviste ai collaboratori e immagini d’archivio, la controversa storia della comunità di riabilitazione per tossicodipendenti di San Patrignano, fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978 a Coriano, in provincia di Rimini. Il figlio (Giacomo, appunto), è un medico veterinario, che ha prestato a sua volta servizio presso la comunità e dimostra di non essere soddisfatto del prodotto realizzato da Netflix: “Estrapolare dei fatti senza raccontare il periodo storico, ma soprattutto senza conoscere l’animo di mio padre, è un esercizio di stile che trasforma le velleità di un documentario in una fiction“. In particolare, “nessuno ha raccontato mio padre nella sua anima, nella sua profonda essenza, buona e generosa. Nessuno degli autori, benché sollecitati da mio fratello Andrea, è andato a raccogliere quelle informazioni che avrebbero tracciato un profilo veritiero”.
GIACOMO MUCCIOLI: “MIO PADRE A 15 ANNI PORTAVA A CASA I SENZATETTO”
Giacomo Muccioli non ha nulla da ridire sui fatti storici narrati, ma rimarca come non si sia mai parlato di “Walter Delogu, l’unica persona che è stata condannata in via definitiva per estorsione e che a vita dovrebbe risarcire economicamente ogni mese la comunità. Delogu è colui che ha puntato una pistola alla testa di mia madre chiedendole 150 milioni di lire”. Alla luce di questa mancanza, Muccioli sottolinea che, se un documentario deve essere storico, “deve descrivere anche chi sono le voci narranti, per permettere allo spettatore di dimensionare la portata di quella testimonianza. Nella fiction invece hanno solo raccontato due episodi dei tantissimi accaduti, senza spiegare nemmeno la personalità del mio papà”. Ma chi era suo papà, Vincenzo Muccioli? Il figlio lo indica come un uomo che pensava in grande, un visionario, cattolico e credente, nonostante desiderasse un luogo laico dove accogliere i tossicodipendenti. Addirittura, “papà aveva nel portare a casa i senzatetto e gli indigenti, gli ultimi della società. Aveva quindici anni e se nel tragitto tra scuola e casa trovava uno che, a parer suo, aveva bisogno d’aiuto, lo portava a casa dai suoi genitori per aiutarlo. Questo è importante per capire come il progetto di San Patrignano non sia nato dal nulla, ma aveva la sua genesi profonda nell’anima buona di mio papà”.