Giacomo Poretti racconta la sua esperienza con il Coronavirus, che ha colpito anche il celebre attore comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. L’ironia a Giacomino naturalmente non può mancare: “Il virus se ne è andato, sbattendo qua e là contro porte e stipiti, ubriaco di tachipirina”, inizia così il racconto per il sito di Comunione e Liberazione di Giacomo Poretti, bloccato in casa ma pronto a raccontare le proprie vicissitudini in una chiacchierata sull’ebook del presidente della Fraternità di Cl, Julian Carron, ‘Il risveglio dell’umano’.



Sono stato malato, e mia moglie con me, a marzo. E ho avuto paura, molta. Tra queste pagine mi sono molto ritrovato”. Si parte da un pensiero ormai comune: da tutto questo usciremo cambiati? “Carrón accenna al fatto che gli uomini tendono a dimenticarsi quello che è successo in momenti di difficoltà – è la riflessione di Giacomo Poretti -. Magari è vero, tuttavia pone la domanda di cosa potrebbe rimanere di questo tempo. Io penso che in me rimarrà qualcosa. Io mi sono ammalato, mi è capitato. Per diversi giorni, settimane, ho temuto per la mia incolumità e quella dei miei familiari. Pensavo alla morte. Cosa sarebbe successo a mio figlio?“.



Domande che la pandemia di Coronavirus ha suscitato nel cuore di molti, risvegliando l’umano come appunto auspica Julian Carron. Giacomo si è detto molto colpito da un’espressione del filosofo Silvano Petrosino, che ne ha parlato come dello “scandalo dell’imprevedibile“.

GIACOMO PORETTI: “DI COSA HAI BISOGNO DAVVERO?”

Giacomo Poretti aggiunge su questa definizione: “Come se un terremoto avesse scosso l’edificio in cui vivevo, comodo, con le mie cose, la mia vita, le mie contraddizioni. Dove, certo, il dramma e la morte esistevano, ma in fondo riguardavano più gli altri, qualcosa da tenere lontano. È la bolla di cui parla Carrón. Questo imprevedibile ha rimesso le cose a posto”.



Non una punizione, ma un modo per rimettere a fuoco la realtà: “In queste settimane c’è stata la possibilità che finissi la mia vita. E comunque la finirò, prima o poi. Riportarsi alla realtà vuol dire tornare al senso della vita, di tutto“. Non tanto per la paura della morte: il virus infatti ormai se ne è andato da casa Poretti, ma Giacomo racconta che un’ombra è rimasta, dentro di lui e in casa.

“Non che non ci avessi mai pensato prima. Ma ora è diverso“. C’è un bisogno di tornare all’essenziale anche negli aspetti più concreti, come liberarsi delle cianfrusaglie che spesso riempiono le nostre case: “Sembra solo una pratica di pulizia, ma in realtà è molto di più. È il bisogno di andare all’essenziale”. Il Coronavirus ci pone davanti a questa domanda: «Ma di cosa hai bisogno davvero?». Il comico non si stupisce della “fede per paura” perché “quando uno sta male si deve attaccare a qualcosa”.

GIACOMO, LA FEDE COME “ESPERIMENTO D’AMORE”

Ma quello che conta – ricorda Giacomo Poretti – è il passo dopo: “Per me la fede è qualcosa da conquistare tutti i giorni. Non è mai una certezza. Un esperimento d’amore. Come nella vita con la moglie, con i figli, con gli amici. Devi battagliare quotidianamente”. Anche sul lavoro tutto è stravolto, tutti sono in difficoltà “a parte il signor Zoom e il signor Amazon”.

Lo scopo è ripartire, guarda caso con lo spettacolo sull’ospedale e gli infermieri che Giacomo Poretti ha già portato in scena, ma “con una parte aggiunta su ciò che è avvenuto in questi mesi”. Anche nel lavoro però diventa centrale “la scoperta del senso della vita e il suo mistero. Questo è legato a Lui, a Dio: se il presupposto di tutto è questo legame, allora l’uomo non è fatto per i propri progetti, ma per amare ed essere amato“.

Quella è la strada giusta, da seguire anche se a tentoni: “Tutti avvertiamo che questa crisi, questo scandalo dell’imprevedibilità ha scombinato tutto. Ma non c’è un Dio cattivo che vuole punire. No, ha creato un mondo dove c’è la libertà, in cui perfino un virus possa esistere. Ecco, dentro qui, in questa libertà, noi dobbiamo scoprire cosa risuona di misteriosamente bello“.

GIACOMO PORETTI: “SERVE ACCETTARE L’IMPREVISTO”

L’imprevedibilità come opportunità: alcune cose che abbiamo vissuto e conquistato “difficilmente cederanno all’oblio”, Giacomo Poretti ne è convinto. Dal Rosario tutte le sere con alcuni amici, che gli ha fatto percepire il valore delle preghiere delle sue nonne, alla presenza degli amici veri, “quando stavo male, che tutti giorni scrivevano o chiamavano: sono piccoli gesti, che però sono anche enormi”.

Andrà tutto bene dunque “lo può dire uno che accetta ciò che accade, l’imprevisto. La posizione cristiana è dire di sì alla vita in qualunque circostanza, qualsiasi cosa succeda. Anche nel dramma. L’uomo che ha fede dice di sì perché riconosce che la vita – tutto, anche questa situazione – gli è stata regalata, non è sua. La vita va compresa per goderne“.

Questo è il consiglio con cui Giacomo si congeda: “Questo regalo a volte non sappiamo cos’è… Lo trattiamo come se fosse una polpetta avvelenata. Oppure proviamo ad adattarlo come vogliamo noi. Quel cartello, quella freccia che uno direbbe: «Dai, ma cosa dici?». Invece è lì: “Sei fatto per amare ed essere amato”. Ha dentro tutto per partecipare, per godere di più del regalo“. Così, solo così, persino l’esperienza del Coronavirus può diventare un “dono” per la propria vita.