Giacomo Poretti, componente del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, si è raccontato a 360 gradi sulle colonne del “Corriere della Sera”. Un dialogo intrapreso parlando del libro che sta scrivendo, “Turno di notte”, nel quale ripercorre i suoi 11 anni all’ospedale di Legnano: entrò nel 1974 da ausiliario e uscì nel 1985 da caposala. “I ricordi più belli li ho in chirurgia plastica e traumatologia-ortopedia – ha affermato -. C’era una tale carenza di infermieri che ti impiegavano subito a fare tutto, anche se non eri diplomato. Ma il reparto che mi ha segnato di più è stato medicina, con i pazienti di oncologia”.
La lezione più grande imparata in corsia coincide con l’umiltà: “Nel mio caso, sono passato per prove di umiliazione mica male: l’infermiere deve occuparsi del corpo del malato, un corpo sporco, che suppura, che maleodora. Il tuo primo compito è pulirlo, e non è sempre piacevole. Certo, è più umiliante per l’ammalato”. A maggior ragione, quando a Giacomo Poretti è toccato passare dall’altra parte, ovvero essere lui il paziente bisognoso di cure (pappagallo compreso), si è domandato: “Ma sono stato attento e premuroso con i pazienti quando me lo chiedevano? Perché prima glielo porti via e prima li togli dall’imbarazzo”.
GIACOMO PORETTI: “HO SUBITO BULLISMO E HO REAGITO… HO AVUTO PAURA”
L’attore, nel prosieguo del suo intervento sul “Corriere”, ha riferito di avere subìto atti di bullismo durante la sua adolescenza, collegato alla sua altezza. In particolare, c’è stato un episodio al quale ha reagito in maniera scomposta: “Frequentavo le serali, perché di mattina lavoravo in fabbrica. Avevo cominciato dopo la licenza media e tre mesi ai geometri, i miei genitori mi avevano fatto capire che era meglio se lavoravo. Al professionale c’era uno grande che mi prendeva sempre per i fondelli: ‘è arrivato il tappetto, il piccoletto’…”.
Arrivò il momento in cui Poretti perse le staffe: “Lui era seduto al suo banco, io lo raggiunsi e gli scaraventai contro la scrivania. Cadde all’indietro e batté forte la testa: per cinque secondi non si mosse. Poi si riprese, non mi insultò più. Ho ancora paura se ci ripenso. A mia discolpa posso citare Papa Francesco, quando ammise: è vero che non si può reagire violentemente, ma se un mio amico dice una parolaccia contro la mia mamma lo aspetta un pugno!”.
GIACOMO PORETTI, TRA FEDE E MORTE
Con la moglie Daniela, sposata nel 2002, Giacomo Poretti ha intrapreso un percorso di Fede, con una serie di incontri spirituali presso il centro San Fedele: “Ora non li organizziamo più, ma posso dire che il matrimonio ha un senso diverso all’interno del percorso di Fede. Le parole fedeltà e dedizione mi riscaldano”.
Successivamente, spazio a una rivelazione: anche un attore del suo calibro, abituato a fare ridere e a scherzare su determinati temi, pensa spesso alla morte: “Più passa il tempo e più ci pensi! Quando ci siamo ammalati di Covid, la sera ci addormentavamo con il timore di non risvegliarci. Avere Fede aiuta, ma talvolta fa incavolare ancora di più. Nel mio libro, l’infermiere Saetta instaura frequenti dialoghi con chi sta Lassù: impreca, supplica, spera. E a volte si sente accolto e grato”. E con Giovanni e Aldo, i rapporti come sono? “Ci vogliamo bene, ci sentiamo. A un certo punto abbiamo sentito il bisogno fisiologico di fare anche altro, da soli: la notorietà ti dà una grande libertà”.