Un piccolo giallo ha agitato ieri il martedì post elettorale. A metà pomeriggio sul profilo Linkedin del Senato – quindi un canale di comunicazione piuttosto irrituale per le informazioni istituzionali – è apparso un lungo post che faceva a pezzi la riforma Calderoli sull’autonomia differenziata. Il dossier, attribuito al Servizio del Bilancio di Palazzo Madama, elencava “alcune criticità” del disegno di legge che in questi giorni è all’esame della Commissione affari costituzionali del Senato, dopo averlo passato al setaccio. “Criticità” che riguardano l’impianto stesso della riforma, senza sconti per il ministro leghista.
La contestazione più radicale riguarda il “trasferimento alle Regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato (e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie)”, che produrrebbe “una forte crescita del bilancio regionale e un ridimensionamento di quello statale, con il rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) presso le Regioni non differenziate”. In sostanza, l’autonomia accrescerebbe gli squilibri tra Regioni anziché livellarli. Il Senato mette dunque in dubbio che la riforma Calderoli possa avvenire nel rispetto dell’articolo 116 della Costituzione, cioè “senza aggravio per le casse dello Stato” e continuando ad assicurare i “livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Le edizioni online dei quotidiani, in particolare il sito Internet di Repubblica, si sono fiondati sul dossier del Senato, presentato come una bomba pronta a esplodere sotto la poltrona di Calderoli. A quel punto è stato il Senato stesso a tentare una retromarcia: alle 18:27 l’agenzia Ansa ha diramato una nota di Palazzo Madama in cui si precisa che si tratta di “una bozza provvisoria, non ancora verificata, erroneamente pubblicata online. Il Servizio del Bilancio del Senato si scusa con la stampa e con gli utenti per il disservizio arrecato”.
Incidente chiuso? Tutt’altro. Il Senato infatti non smentisce l’esistenza del testo, ma lo derubrica a “bozza non verificata”. Vuol dire che le critiche ci sono e stanno circolando. Più difficile è risalire alla paternità del dossier: potrebbe essere un documento di lavoro di qualche struttura ministeriale. Per esempio, visto che si parla approfonditamente di risorse anche finanziarie, è lecito chiedersi se il documento possa essere stato redatto all’oscuro della Ragioneria generale dello Stato. Del resto, i poteri centrali dello Stato sono i più restii ai cambiamenti, quando essi significano perdere funzioni.
Quello che più conta, però, è il segnale politico. In questo momento sui tavoli delle istituzioni sono presenti due riforme: l’autonomia differenziata targata Lega e il presidenzialismo tanto caro a Giorgia Meloni. Dovrebbero marciare insieme, all’insegna e a garanzia del patto di governo. Un accordo in cui un alleato vigila sulla riforma dell’altro. La discussione sull’autonomia è più avanti del presidenzialismo, essendo già incardinata in un ramo del Parlamento, e Calderoli l’altro giorno in un’intervista al Corriere della Sera legava il proprio futuro politico all’introduzione della riforma. Giorni fa la Meloni ha cercato di recuperare parte del divario consultando le opposizioni parlamentari, peraltro senza ottenere grandi risultati. Qual è dunque il segnale di ieri?
Tra le possibilità, non è da escludere che dal Senato – a guida Fratelli d’Italia, non va dimenticato – sia partito un avvertimento agli alleati leghisti. Un colpetto di freno per ricordare che la partita delle riforme è talmente delicata e decisiva per il futuro del Paese che va giocata assieme: o si cambia di comune accordo o nessuno ottiene niente.
L’altra ipotesi è quella su accennata, relativa al controllo dei bottoni. Non resta che aspettare, per scoprire cosa conterrà la “bozza” quando diverrà definitiva.
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