Eravamo pronti a commentare il Decreto agosto, ma è ancora “salvo intese”. Nei giorni scorsi chi aveva avuto modo di leggere le bozze si era sbilanciato a commentare alcuni dei provvedimenti attesi ma svaniti. Uno di quelli di cui non si è parlato nella conferenza stampa di palazzo Chigi appariva, seppur timidamente, come un bel segnale del Governo al mondo produttivo. Facciamo riferimento al provvedimento non confermato che avrebbe consentito alle aziende di recuperare l’Iva che vantano in relazione ai crediti non saldati da chi è sottoposto a procedure concorsuali.



L’obiettivo annunciato e non realizzato si proponeva di anticipare il recupero dell’Iva già versata a un momento antecedente rispetto alla chiusura delle procedure concorsuali che talvolta durano decenni. Altro aspetto interessante della norma che non c’è era la possibilità di realizzare il recupero dell’Iva sulle fatture non pagate anche nell’ipotesi di assenza di procedure concorsuali. In base al tenore della norma che circolava bastavano sei mesi di insoluto per recuperare l’Iva sulle fatture non pagate. La misura, se introdotta, arriverebbe tardi a recuperare i danni provocati da norme sbagliate per come scritte e per come interpretate.



Rimaneva l’amaro in bocca guardando all’importo fissato ovvero 2.500 euro per le piccole aziende e 5.000 per quelle di più rilevante dimensione. Oggi, senza la norma, l’amarezza è ancora maggiore. Ristabilire la parità di trattamento dei crediti insoluti sia ai fini Iva che delle imposte sui redditi sarebbe stato senz’altro un passo in avanti, ma mancava di coraggio. Se dopo decenni di lotte si è pensato di introdurre questa norma perché ritenuta giusta ed equa appare senza senso apporre un limite in quanto contraddice chi dopo tanto tentennare stava per cedere alla correttezza.



A mio avviso la norma stralciata dovrebbe entrare a regime e valere anche per le transazioni commerciali normali e non rientranti nelle procedure di insolvenza. Penso a un allargamento dell’istituto dell’Iva per cassa. Per coloro con meno familiarità con questi temi mi riferisco al momento in cui l’imprenditore è chiamato a versare l’Iva che addebita alle proprie transazioni. La liquidazione Iva per cassa è un principio che deroga al regime naturale e che consente all’imprenditore di tener conto dell’Iva da versare sulla base di quella incassata e pagata. In maniera semplificata si ha la opportunità di ritardare il versamento dell’Iva, per un anno, sulle fatture emesse al momento dell’incasso. Anche qui l’estensione di questo principio con la fatturazione elettronica sarebbe semplice e migliorerebbe la gestione della liquidità aziendale. Rendere conflittuale la detrazione e il versamento limiterebbe anche pratiche commerciali scorrette. La fattura elettronica attraverso pochi adattamenti è lo strumento giusto che renderebbe un servizio agli imprenditori onesti.

Apprezzabile è la previsione di concedere due anni per il pagamento delle imposte sospese nei mesi di lockdown tramite 24 rate mensili. Ma la norma, così com’è stata annunciata (50% subito o in quattro rate e 50% in 24 rate), prevede la nascita di 25/28 nuove scadenze.

Osserviamo infine che manca sempre una norma che blindi le rateazioni dei carichi a ruolo che rinviate a dicembre non trovano una salvaguardia.

Il Governo anche con questo provvedimento non appare lungimirante e non trae nessuna lezione dalla sentenza Apple. Servono provvedimenti di programmazione, quelli che si stanno adottando aumentano il distanziamento sociale in luogo di quello sanitario. Il divario tra aziende e lavoratori si sta ampliando e altrettanto si sta ampliando il divario tra lavoratori dipendenti del settore pubblico e del settore privato.