Gianmarco Pozzecco, ira del tecnico di Dinamo Sassari dopo gara 5 persa con Venezia. «Giochiamo in un catino, bella… Io non mi lamento, stiamo zitti tutti: qua dentro non si poteva fare una finale, non si poteva fare. Sono quattro mesi che andiamo sempre in area… Haynes ha tirato 14 tiri da tre punti, noi tutti insieme 17. Lasciatemi in pace, non me ne frega un ca*zo di vincere o perdere lo scudetto, l’unica cosa che mi dispiace di fare sta scenata qua dopo una sconfitta: ad andare ora in spogliatoio da Stefano Gentile disteso con una coscia così, devo farlo io…», le parole dell’allenatore, che ha poi aggiunto: «Devo forse cambiare il mio modo di essere, devo piangere anche io? No, andateve affanc*lo, quelli che piangono se ne vanno affanc*lo tutti». Poi tornando sull’infortunio di Gentile: «Io è da quando avevo 4 anni che non piango. Abbiamo perso? Non fa niente, ma esigo che i miei giocatori non si facciano male perché sono miei figli». E lo sfogo finale: «Viviamo in un mondo di me*da e questo Paese fa schifo».
GIANMARCO POZZECCO, SFOGO DOPO GARA-5: IL VIDEO
Questa sera è in programma Gara-6 tra Dinamo Sassari e Venezia, Gianmarco Pozzecco è tornato sul suo sfogo ai microfoni de La Gazzetta dello Sport: «Non sono mai stato capace di elaborare processi mentali, non conosco la premeditazione. Sono stato un giocatore vero e lo sono ancora. Per me non esiste una scorciatoia per vincere una partita. Perciò, quando percepisco una situazione del genere che può alterare il risultato aldilà di quello che fanno i giocatori, vado fuori di testa. Reagirò sempre così. I toni non sono un problema, il problema è quel che accade intorno alla partita». Prosegue l’ex giocatore: «Sottolineo che non ce l’ho con Walter [De Raffaele, ndr], siamo amici e ha fatto bene a ricordarlo. Ce l’ho con tutti, con la cultura sportiva italiana dove conta solo il risultato. E’ un sistema allucinante. I giocatori devono vincere le partite, sono loro che possono condizionarne l’esito. Poi insieme a loro in campo ci sono tre persone che hanno il compito di far rispettare le regole. Lasciamo che lo facciano serenamente, io non ho mai parlato di loro prima dei Playoff. Di recente, il mio maestro Recalcati mi ha impartito una lezione: nel basket non conta il metro arbitrale. Non è questione di un fallo in più o in meno. Rispetto ai miei colleghi, penso di avere un modo diverso, non dico migliore, di allenare, perché adoro i miei giocatori. Voglio proteggerli sempre, per loro mi butterei nel fuoco. Ho 46 anni, non ho figli naturali ma ne ho 12 adottati. Mi hanno regalato una coppa europea e una finale Scudetto. Quattro mesi fa ero un balordo che arrivava da Formentera, oggi sono un allenatore nuovo: molto cambiato nella forma, ma non sarò mai politicamente corretto».