Gianmarco Pozzi è morto ormai da tre anni e la verità ancora non c’è. L’ex campione italiano di kickboxing, residente a Frascati ma a Ponza per lavoro, è stato ritrovato senza vita il 9 agosto 2020, sull’isola, dove lavorava come addetto alla sicurezza di una discoteca, il Blue Moon. Secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe trattato di un tragico incidente: ipotesi alla quale la famiglia non ha mai creduto. Troppi, infatti, gli indizi che fanno pensare ad altro. Sul corpo del giovane, inoltre, non è mai stata svolta un’autopsia.



“È un caso che sta diventando pieno di errori. All’inizio le indagini sono state condotte con i piedi. Non è stato fatto nulla, è tutto contraddittorio. Ci sono tanti dubbi, troppi” racconta il papà Paolo a Storie Italiane. La sorella Martina rivela invece: “Il corpo di Gianmarco era pieno di spine. E nella testa non c’era segno d’impatto. Dal 118 mi hanno detto che quando sono intervenuti, lui era già freddo e quindi morto da tempo”.



L’avvocato: “Nuova persona attenzionata”

Ci sarebbe una testimonianza importante sulla morte di Gianmarco Pozzi: una donna avrebbe visto il corpo di un ragazzo in una carriola. Di recente, però, è stato sentito anche un altro testimone, come rivelato dall’avvocato: “Da una ventina di giorni una persona è stata attenzionata, soprattutto dal pubblico ministero Ricci che è convinto come noi che c’è la certezza che Gianmarco è stato ucciso. Una certezza che abbiamo noi della famiglia e il Pm che pochi giorni fa è arrivato sull’isola di Ponza per sentire questa persona. Pare che ci siano delle novità eclatanti, il che è di grande auspicio e di aiuto”.



Il papà di Gianmarco Pozzi, ancora, spiega: “Ripongo la mia fiducia al dottor Ricci. Tutti i miei appelli alle persone di Ponza sono stati vani”. Il ragazzo, secondo la famiglia, sarebbe stato ucciso e poi gettato in quello spazio di pochi centimetri nella villetta in cui è stato ritrovato. Secondo la prima ricostruzione, il ragazzo sarebbe caduto da un terrazzamento ad un’altezza di 2.70 metri, ma le ferite sul corpo non sono compatibili e aprono ad un’altra dinamica sulla quale spinge la famiglia, alla ricerca della verità che dopo tre anni, ancora non è emersa.