Il primo ospite della seconda puntata di Belve – sempre su rai 2 con l’apprezzatissima Francesca Fagnani – è l’atleta e campione Gianmarco Tamberi che come di consueto si è raccontato attraverso le domande graffianti e taglienti della conduttrice definendosi immediatamente (alla classica domanda ‘che belva si sente?’) un “puma”, salvo mettere in chiaro subito dopo che dal conto suo si sente una persona estremamente “umile” ammettendo di non essere il più forte al mondo nella sua disciplina.



Tornando indietro con la mente Gianmarco Tamberi ricorda di aver iniziato a saltare “quando avevo 12 anni” innamorandosi immediatamente di quella “scarica di adrenalina infinita” che le competizioni gli mettono da sempre addosso, raccontando che la sua ispirazione sportiva per eccellenza è “Valentino Rossi” che considera l’atleta per eccellenza dato che “è sempre stato se stesso e ha vinto di tutto e di più”: parlando della sua carriera il campione confessa anche che “ho ricevuto molta più notorietà di qualsiasi altro atleta della mia disciplina”, spiegando di capire perché molti colleghi lo detestino visto che “si parla più dei miei successi che dei loro, anche se ottengono risultati migliori dei miei”.



“A 17 anni – continua Gianmarco Tamberi raccontando l’origine del campione a Belve – dovevo scegliere tra il salto in alto e il basket e fu difficile perché da un lato c’era una cosa che mi riusciva molto bene e non mi piaceva e dall’altra una cosa che mi piaceva molto fare” sottolineando che “non è così bello saltare un’asticella e mi piace tutt’ora molto di più il basket” dicendosi peraltro certo che “se avessi continuato il basket sarei molto più felice, ma molto meno famoso” e concludendo il discorso con la confessione che “non amo quello che faccio” e relegando l’intera decisione “all’insistenza da parte di molte persone che avevo di fianco”.



Gianmarco Tamberi e il rapporto con il padre: “Da due anni non ci parliamo più”

Tornando indietro con la mente Gianmarco Tamberi a Belve ricorda che “da ragazzo ero iperattivo probabilmente perché non mi sentivo molto bene dentro casa, non ho mai avuto un rapporto bello con mio padre e questo condizionava tutto, ma è cambiato molto quando ho conosciuto mia moglie a 17 anni e ho conosciuto la sua famiglia e ho iniziato a vivere con loro conoscendo per la prima volta l’amore”; e restando sul discorso del padre ricorda come episodio peggiore “quando eravamo in Serbia e la gara andò male, c’è stato un dibattito molto pesante con mio padre che è diventato personale” e le cose si sono rotte al punto che spiega che “oggi non abbiamo ancora recuperato il rapporto”: in quell’occasione confessa di essersi sentito “molto tradito“.

“È stato un rapporto molto difficile – continua Gianmarco Tamberi a Belve – e ho deciso di smettere di allenarmi con lui dopo le olimpiadi, anche lui non voleva più allenarmi. Cercai di convincerlo andando nel suo studio, pensando che la vittoria ci avrebbe aiutato, lui accettò ma dopo 8/9 mesi per me è diventata ingestibile” al punto da vedersi costretto a voltare pagina; e pur confessando che “non avere un rapporto con mio padre è il mio più grande fallimento” riconosce che “negli ultimi due anni da quando non abbiamo più rapporti sono molto più sereno“.

Gianmarco Tamberi: “Le Olimpiadi di Parigi? Il momento più duro della mia vita”

E da lì il racconto di Gianmarco Tamberi passa rapidamente alle Olimpiadi di Parigi caratterizzate dalle coliche che gli hanno impedito di gareggiare come avrebbe voluto e che ricorda essere stato “il momento più brutto che abbia mai vissuto, sia fisicamente, che mentalmente ed emotivamente”, un vero e proprio “momento terribile” in cui “ero piegato dalla paura di perdere tutto quello che avevo fatto” caratterizzata “da una pressione immensa da parte di tutti”.

Nonostante questo racconta anche che rifarebbe tutto perché “a posteriori capisco di aver dato la forza a molte persone che potrebbero essere in difficoltà” spiegando che “ho deciso di gareggiare perché ero convinto che ce l’avrei potuta fare e non volevo vanificare quello che ho fatto per una vita”; rattristandosi in particolare di non aver vissuto quel momento con il nonno materno “che se n’è andato qualche mese prima. Soffriva di Alzheimer e ci fu un momento in cui non si ricordava la mia storia, ci sedemmo e gli raccontai tutto e lui si interesso e dispiacque e gli vorrei dire che ce l’ho fatta”.