Gianni Minà, grande nome del giornalismo italiano, si è raccontato al Corriere.it spiegando come riuscì a mettere insieme personaggi come Fidel Castro, Ivan Pedroso, Cassius Clay, passando per Red Canzian, Carlo Craccolo, Muhammad Ali, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabo García Márquez. Ne ha parlato con la luce negli occhi ma al tempo stesso non ha potuto rabbuiarsi nel rendersi conto di come il suo nome non sia presente in nessun manuale di giornalismo, pur avendone scritto la storia. La sua celebre intervista a Fidel Castro durò ben 16 ore. Oggi fa parte della Cineteca di Bologna come “Fondo Minà”. Quando il 3 giugno 2016 morì Muhammad Ali, ad avvisarlo, racconta, fu la moglie Lonnie: “A casa loro ero uno di famiglia”, rivela. Il 25 novembre del medesimo anno venne a mancare Fidel Castro: “La morte di Fidel mi fu annunciata almeno cinque volte, dai colleghi. Ma quando successe davvero mi avvisò da Cuba la zia di un mio figlioccio due ore prima che Raul Castro desse l’annuncio in tv”. Molti dei suoi amici purtroppo non vi sono più. Tra loro anche Pietro Mennea: “Quella volta a telefonarmi fu un giornalista. “Due battute per Mennea che è morto”. E io: “Ma che è successo?”. E quello: “Ma che, non lo sai?”. Riattaccai”, commenta. I due erano particolarmente legati.
GIANNI MINÀ: LE SUE AMICIZIE
Sono tanti i personaggi famosi che Gianni Minà sente ancora oggi. Robert De Niro lo chiamò in occasione dei suoi 80 anni, il 17 maggio 2018 e gli inviò un biglietto di auguri. Con Mina i contatti sono più frequenti: “Ci chiamiamo per parlare delle nostre vite. Un’artista immensa”, dice. Luis Sepúlveda lo definisce “un amico fraterno”, mentre Maradona lo definisce “Il più grande calciatore mai nato”. Ma da dove deriva l’affetto di personaggi così diversi? “Credo sia una questione di intimità. Io ho i modi che soddisfano le relazioni umane. E quando mi dicevano no, non insistevo”, dice. Nel suo ambito però, furono tante le critiche ricevute dai colleghi, da quelle sull’intervista a Castro – che come racconta gli costò una causa che vinse pur spendendo tutto ciò che aveva guadagnato dal documentario in avvocati – a quelle sul suo modo di rapportarsi agli intervistati. Ma Minà non commenta: “sono sempre stato fedele a una certa classe di giornalismo”, si limita a dire. Ma da dove derivava tanta acredine nei suoi confronti? “Il mio lavoro di contro informazione sull’America Latina dava fastidio alla Cia e all’Usaid. Credo mi facessero cattiva stampa”, commenta, “Il mio peccato è stato ridicolizzare il loro liberismo, aver dimostrato che la democrazia può essere più dittatrice della dittatura”.
I “NO” RICEVUTI E I RIMPIANTI
La carriera di Gianni Minà si alterna dal ruolo di editore a direttore, autore e giornalista e scrittore, ma qual è il ruolo che l’ha divertito maggiormente? “Fare il cronista è la cosa più bella”. Nonostante sia riuscito ad intervistare molteplici personaggi, al giornalista resta comunque un grande rammarico: “Mi è sfuggito Nelson Mandela. Ci eravamo messi d’accordo e mi aveva invitato in Sudafrica. Poi dovetti rinviare per tre quattro giorni e non siamo più riusciti a vederci”. Ma ha anche ricevuto dei no, ad esempio da parte di Obama quando era presidente degli Usa. “Per valutare la nostra proposta chiesero le copie dei miei documentari, poi vollero che trovassimo un politico che perorasse la nostra causa. Hanno chiesto anche le domande per iscritto e dopo due mesi ci fecero sapere che non erano ancora pronti per quel genere di intervista”, rivela. Quell’episodio gli fece notare “la differenza di stile con Castro”. Prima di intervistarlo gli chiese se volesse leggere in anticipo le domande ma lui si rifiutò. Adesso chi vorrebbe intervistare? “Vasco Rossi”.