Si intitola “Storia di un boxeur latino” il nuovo libro di Gianni Minà, protagonista di un lungo dialogo con “Il Venerdì” di Repubblica denso di aneddoti e racconti sulla vita del giornalista. A partire da una foto scattata al ristorante Checco er Carettiere di Roma: a sinistra a destra, Gabriel García Márquez, Sergio Leone, Muhammad Ali, Robert De Niro e Gianni Minà. Cosa ci faceva Gianni Minà insieme a quei fuoriclasse dei rispettivi mondi? “Quella foto da Checco è il risultato di tante coincidenze e di una filosofia di vita, di una insaziabile curiosità. A me – racconta il giornalista – interessano le vite vissute, le esperienze delle persone. Mi piace il senso di amicizia e di ammirazione che traspare da quel gruppo. Avevo un grande dialogo con loro, con Gabo, Sergio, Ali e Bob, ma più che a mirare allo scoop, volevo conoscere la loro storia e la loro umanità“. Poi si entra nel dettaglio: “Ali mi considerava un giornalista importante, perché gli chiedevo, sempre con rispetto, anche le realtà più spinose o più banali; Sergio Leone, invece, era un uomo molto timido. Un giorno mi chiese di accompagnarlo lungo il tappeto rosso al Festival di Venezia. Mi strinse forte il braccio e mi disse a mezza bocca: “E mo’ nun te move da qua, me la sto a fa’ sotto” e a me, che tentavo di divincolarmi, afferrandomi ancora di più: “Mò m’ accompagni, perché non ce la faccio da solo”. Con De Niro siamo stati complici e amici. Gabo Márquez era un uomo difficile, pensava fossi un rompiballe. Poi lo conquistai“.



GIANNI MINA’: “PAGAI CARA L’INTERVISTA CON FIDEL…”

Inutile dire che nell’immaginario collettivo Gianni Minà sia il giornalista della famosa intervista a Fidel Castro, durata dalle 14 del pomeriggio del 28 giugno 1987 fino alle 5 del mattino dopo. Uno scoop mondiale che all’italiano, soprattutto in patria, è costato caro: “Ma io non ho mai fatto nessuna sterzata politica. La pensavo in un certo modo e non ho cambiato idea. Semmai gli altri si sono spostati. L’ intervista a Fidel mi ha fatto conoscere all’estero, ma mi ha chiuso, definitivamente, le porte in Italia. E ancora non so perché. Il Festival di Berlino mi ha dedicato una rassegna, quello di Montréal mi ha premiato: i miei documentari sono andati in tutte le tv del mondo, ho diretto riviste e collane editoriali. Sempre seguito la mia curiosità, mai fatto calcoli di carriera. Ero a Città del Messico con Manolo Vázquez Montalbán: il subcomandante Marcos mi contattò con un messaggio portato da un bambino. E in quei casi che fai? Dici no all’ intervista? Cuba ha retto perché ha dato una organizzazione sociale al Paese che gli ha permesso di vivere poveri ma dignitosi per oltre mezzo secolo. E malgrado un blocco economico spietato che, anche nel vivo della pandemia, gli Usa continuano a mantenere senza nessuna ragione umana e politica. Dopo tutti questi anni, qualcuno si ricorda il perché di questa prepotenza abnorme?“.

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