LO SFOGO DELL’EX PORTAVOCE CGIL, LICENZIATO DOPO 40 ANNI… TRAMITE IL JOBS ACT

Sta facendo discutere lo sfogo e la denuncia di Massimo Gibelli, storico portavoce della Cgil sotto le varie segreterie Cofferati, Camusso e Landini, e licenziato il 4 luglio scorso dopo oltre 40 anni di servizi resi al sindacato “rosso”. Con un editoriale apparso sull’Huffington Post Gibelli racconta la sorpresa amara nel ricevere quella lettera di licenziamento, specie perché la Cgil avrebbe usato la legislazione del Jobs Act, legge del Governo Renzi da sempre contestata a odiata dal sindacato, tanto da portare l’attuale leader Landini a presentare addirittura una proposta di referendum per abolirlo.



«Il 4 luglio, al rientro da un breve periodo di ferie, sono convocato dal segretario organizzativo. Durante il colloquio mi viene comunicato il “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” e consegnata la lettera raccomandata a mano in cui si specifica che “la data odierna, 4 luglio 2023, è da considerare l’ultimo suo giorno di lavoro”. Seguono ringraziamenti e saluti di rito» racconta Gibelli che per anni è stato portavoce nazionale della Cgil a fianco degli ex segretari Sergio Cofferati e Susanna Camusso, così come l’attuale leader Maurizio Landini.



MASSIMO GIBELLI: “CACCIATO CON LA LEGGE ODIATA DALLA CGIL. ECCO IL MIO 4 LUGLIO”

Il giorno dell’indipendenza americana, Massimo Gibelli viene “liberato” dalla Cgil, ma per lui resta un addio doloroso e considerato ingiusto: «Non sono scappato con la cassa, non sono inquisito o sotto indagine della magistratura. Non ho litigato, insultato o commesso ingiustizie nei confronti di colleghi. Non sono venuto meno ai miei doveri di lavoratore, né di lealtà nei confronti della Cgil». L’ex portavoce racconta come nel 2021 con l’addio alla sua figura all’interno della Cgil, si era reso disponibile ad essere dirottato su altri incarichi all’interno del sindacato: ad inizio marzo racconta di aver scritto una mail al segretariato organizzativo, per ricordarglo che da due anni era senza incarico. Pochi mesi dopo è arrivato invece l’ultimo giorno di lavoro: «Ovviamente il licenziamento è stato impugnato e sono ora in corso le conseguenti procedure».



A rendere ancora più “beffarda” la vicenda per Gibelli è la natura delle motivazioni addotte al licenziamento, tramite quella stessa legge renziana che la Cgil intende contrastare da tempo: «Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è previsto dall’articolo 3 della legge n. 604 del 1966, più volte modificato nel corso degli anni, in ultimo dalla riforma Fornero del 2012 e nel 2015 dal Jobs Act di Renzi. Leggi che furono fortemente contestate dal sindacato». Come scrive ancora Gibelli su “HuffPost”, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è lecito solo quando «viene soppresso il settore lavorativo, il reparto o la postazione nel quale lavora il dipendente; il dipendente viene licenziato in modo corretto e per motivazioni valide, senza effettuare discriminazione; si dimostra che non è possibile reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse all’interno dell’azienda; viene dato un corretto preavviso, in base al contratto in essere». Ebbene, l’onere di provare la sussistenza di questi motivi validi al licenziamento spettava alla Cgil il quale ora dopo il ricorso dovrà comunque dimostrare che il lavoratore non può essere collocato diversamente.