«Dopo la Juve non è che mi sono spento, ma ho mollato, sbagliando. Ho accettato diverse altre proposte, per guadagnare, ma non ero più io». A raccontarsi è Gigi Maifredi, che nell’intervista a Repubblica rivendica il gioco a zona, anche se tutti pensano ad Arrigo Sacchi, che però è arrivato dopo. «Io dico sempre che la zona l’ho inventata io, con Zeman». Salvo poi ammettere che comunque il primo a fare la zona fu Enrico Catuzzi. A proposito dell’esperienza finita male con i bianconeri, racconta di essersi sentito come il Papa alla Juventus: «Seduto alla destra di Dio, che era l’avvocato Agnelli. Solo che son stato Papa Luciani, con tutto il rispetto naturalmente. Voglio dire che sono durato pochissimo». Maifredi smentisce di aver avuto problemi con Tacconi: «Quante sciocchezze, Stefano era un bravissimo ragazzo». Il problema è che «lui senza volerlo si prestava al gioco dei giornalisti, che lo istigavano, uscivano titoloni e la mattina dopo bussava alla mia porta mogio e si scusava».
Non ha funzionato anche perché a Bologna aveva dimostrato «di essere il più bravo, e andai a Torino senza preparare nulla, convinto che bastasse. Pensavo d’aver già dimostrato». Invece, c’erano pressioni e aspettative diverse. «Era la mia prima vera occasione, magari mi sarebbe servita, dopo Bologna, un’altra esperienza. Avrei dovuto lavorare diversamente, incidere sul campo». D’altra parte, Gigi Maifredi evidenzia che all’epoca i bianconeri erano per molti aspetti indietro rispetto a Milan e Inter. Ciò comunque non sminuisce il suo mea culpa: «Avrei dovuto partire dalla devozione di alcuni della vecchia guardia nei confronti di Zoff, persona stimabilissima con cui avevano vinto Uefa e Coppa Italia facendo gruppo quasi contro il mio arrivo, avrei dovuto ritemprarli, convincerli. Non lo feci. Poi anziché provare a dare un’identità nuova e diversa alla Juve, pensai a riprodurre il Bologna e fu un altro errore».
MAIFREDI SU COLLEGHI E IL FUTURO ALL’ESTERO
E pensare che l’avvocato Agnelli avrebbe voluto far firmare un contratto triennale a Gigi Maifredi, il quale però gli disse di no, che sarebbe bastato un anno. «Io ero fatto così, lui non capì che era un atto d’amore verso il club, ma non scrivere così, io che dico che l’Avvocato non capì non sta bene. Forse neanche è vero». Se gli avesse dato retta, invece, avrebbe vinto molto prima e sarebbe ancora alla Juventus forse. Invece finì contro la Sampdoria, che era prima in classifica. Era metà febbraio 1991 e «un rigore che fa ancora ridere» cambiò tutto. «Mi girano i cog*ioni. Mollai. Invece avrei dovuto tener duro. Sarebbe servita la società, ma Montezemolo non c’era mai, veniva solo la domenica, per un allenatore la società è determinante, ti dà forza, sicurezza». Invece Bologna diventò casa sua. «A volte mi chiamava Lucio Dalla. (..) Poi le notti all’Osteria dei Poeti, c’erano anche Morandi, Guccini, Carboni». Se un allenatore che ammira è De Zerbi, a cui ha consigliato di non copiare troppo Guardiola, Ancelotti invece è «fortunato» per Gigi Maifredi. «I bravi allenatori non sono necessariamente quelli che vincono, ma quelli che migliorano i giocatori». L’allenatore ideale, invece, sarebbe «la mia genialità fusa con Arrigo. Sacchi è un giapponese. E comunque di squadre come il suo Milan ne ho viste poche». Riguardo il suo futuro, rivela di essere stato cercato in Mls. «Vogliono che vada a Miami, a creare un’Academy. E mi vorrebbero anche in Marocco, stesso motivo. Di idee ne ho». Ci andrebbe solo, senza la moglie, ma con un paio di collaboratori. «Ma son restio. Miami sono oltre 12 ore di volo, è troppo. Il Marocco è molto più comodo. Fra poco dobbiamo prendere una decisione».