Lo sketch del “whisky maschio senza raschio” è la più bella cavalcata verbale del cinema italiano dopo quella della supercazzola in Amici miei. Febbre da cavallo è di sicuro il film più divertente, celebre e conosciuto tra quelli con cui Gigi Proietti ha illuminato il grande schermo, ma proprio per la sua torrenziale, a tratti geniale potenza di parole, voci, suoni, di virtuosismi in cui le sillabe erano le note di una chitarra per un grande solista, il cinema forse non era la sua casa (seppure vanno ricordati film di non poco conto come Brancaleone alle crociate, La proprietà non è più un furto e soprattutto Casotto, di quel talento inafferrabile di Sergio Citti, con un magnifico duetto assieme a Paolo Stoppa).



Per il mattatore, scomparso proprio il giorno del suo 80° compleanno, erede popolare e popolaresco di Gassman ma non meno colto, quantomeno nelle frequentazioni artistiche (tutto il teatro negli anni ’60 e ’70, il memorabile Circolo Pickwick di Gregoretti in Rai), il suo posto era di sicuro il teatro, il palcoscenico delle grandi produzioni sperimentali che innovarono il teatro italiano della modernità, per esempio col Gruppo Sperimentali 101 e al fianco di Carmelo Bene e poi i trionfi solisti: uno su tutti, A me gli occhi please, il primo di molti fortunatissimi one-man show, con cui Proietti creava personaggi, linguaggi, modi di dire, tormentoni e soprattutto saggiava le proprie multiformi doti attoriali conducendo il pubblico un po’ dove voleva: nelle repliche indimenticabili che fece nel 2000 allo stadio Olimpico – riempiendolo nonostante lo stesso giorno, a Bruxelles, l’Italia si giocasse i quarti di finale del campionato europeo – il pubblico recitava interi, lunghi sketch a memoria, come in un concerto: Toto e la sauna sta alla carriera dell’attore come Albachiara sta a quella di Vasco Rossi.



Certo, ridurre la sua carriera al suo talento comico non è giusto, ma è sicuro che Proietti, molto più di Gassman, ha lavorato sul proprio appeal popolare, diventando un gigante dello spettacolo e in primis dello spettacolo pensato per il grande pubblico se non propriamente comico: i grandi spettacoli in solitaria, le regie teatrali di musical e opere entrate nel patrimonio comune, le regie liriche, la creazione e direzione del Globe Theatre a Villa Borghese, che dal 2003 faceva rivivere ogni anno la tradizione shakespeariana. E poi la tv, il varietà degli anni ’80, le fiction dei record dagli anni ’90 come Il maresciallo Rocca per poi tornare sempre al teatro, che non la ha mai tradito e che anzi gli ha dato l’opportunità di aprire un’accademia e scoprire nuovi talenti.



Proietti è stato, come Sordi, ma in maniera diversa, positiva, solare, il vessillo della romanità in Italia e anche nel mondo, avendo lavorato come Robert Altman, Sidney Lumet e Bertrand Tavernier, l’incarnazione più limpida del moderno vernacolo romano e dell’amore tutto romanesco per la battuta, la trovata d’ingegno, il calembour, come quei magnifici grammelot con cui impastava parole suoni e gesti portando la risata al suo parossissimo. Un amore che è diventato culto proprio grazie agli spezzoni di Febbre da cavallo o all’irresistibile gag di Un’estate al mare in cui Proietti recita nei panni di un attore smemorato che non capisce i suggerimenti del suo suggeritore.

Visto che però si tratta di parole e di voce, i cinefili mi consentano di ricordare Proietti anche come straordinario doppiatore: quando Fellini scelse Donald Sutherland come Casanova per il suo film eponimo si ricordò che aveva adocchiato Proietti per il ruolo e gli affidò quello di sua voce italiana. La voce limpida, ora calda ora tagliente dell’attore, ha accompagnato decenni di attori e spettatori, dando vita a ruoli straordinari come quello di Lenny Bruce (Dustin Hoffman) in Lenny, di Sam (Robert De Niro) in Casinò o addirittura di Alfred Hitchcock nel film sulla vita del regista interpretato da Anthony Hopkins.

Mi sembra curioso e bello che le sue più favolose prove da doppiatore siano quelle in cui la sua voce ha dato corpo a chi corpo non l’aveva: a Draco, il drago di Dragonheart (ironia della sorte, doppiato in originale da Sean Connery, altro illustre defunto di questo weekend) e al Genio di Aladdin, che con la sua caleidoscopica parlantina poteva creare mondi dal nulla. Proprio come Proietti ha fatto per più di 50 anni su qualunque palco si trovasse.