Il terremoto nato durante l’ultima stagione di Non è L’Arena tra boss mafiosi, Ministro Bonafede e presunte “trattative” tra Giustizia e malavita per le nomine è tutt’altro che “risolto”: Massimo Giletti da pochi giorni vive sotto scorta per le minacce di morte ricevute dal boss Graviano per via delle inchieste legate all’uscita di alcuni mafiosi dal carcere durante l’emergenza Covid oltre alle numerose inchieste legate alla battaglia anti-mafia del pm Nino Di Matteo (anche lui minacciato più volte da Cosa Nostra). Nell’intervista di oggi a La Verità il conduttore di La7 torna a chiedere con forza le dimissioni del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: «non ha reagito alle parole id Graviano che lo elogiava. Io invece sono stato minacciato e adesso devo girare con la scorta», attacca Giletti ricordando quel «non dobbiamo rompere le palle al ministro, va lasciato lavorare» pronunciati dal Boss Graviano secondo le intercettazioni riprese in carcere. Secondo Giletti il Ministro avrebbe dovuto prendere le distanze da quelle parole, anche se ovviamente non vi è responsabile in prima persona: «mi sembra molto grave, non è una possibilità ma un dovere prendere le distanze. Perché Bonafede rappresenta il Governo, lo Stato».



GILETTI “LA SCORTA È FIGLIA DELLA SOLITUDINE”

Dopo le tante storie di mafia raccontate – dalle sorelle Napoli fino al tema boss scarcerati – Giletti ribadisce il suo impegno ad una antimafia “diversa” da quella normalmente celebrata: «da quella puntata in piazza per mettere pressione al sindaco (di Palermo Leoluca Orlando, ndr) […] le sorelle hanno smesso di esser considerate delle matte e sono diventati dei simboli». Giletti ringrazia Salvini e Lamorgese che hanno mandato il messaggio chiaro, «lo Stato stavolta c’era». Dalle Napoli ai boss scarcerati, Giletti rilancia la sua sfida al Ministro Bonafede: «abbiamo dimostrato che il direttore del Dap Francesco Basentini aveva fatto un errore clamoroso» e infatti dopo si è dimesso proprio dopo quelle puntate di Non è l’Arena. Secondo il conduttore la successiva lite a distanza tra Di Matteo e Bonafede ha dimostrare, nonostante l’intervento in Aula al Parlamento per difendere la propria decisione di non nominare Di Matteo al Dap «non ha spiegato quello che è accaduto davvero». E qui Giletti lancia un’accusa molto grave: «credo che le rivolte nelle carceri siano state placate con una trattativa», ovvero «quella che ha portato alle circolari del Dap (senza Di Matteo, ndr) e alle scelte per cui 200 detenuti dell’alta sicurezza e 4 addirittura del 41-bis sono tornati a casa». In tutta questa vicenda, la richiesta di Giletti a Bonafede è sempre la stessa: «in un Paese straniero si sarebbe già dovuto dimettere. Non solo per la circolare Covid ma per gli uomini che ha scelto e che si sono tutti dimessi». Chiosa finale dell’intervista a La Verità sul “caso furbetti” dove Giletti si dimostra implacabile contro i partiti e le loro scelte sulla qualità dei deputati: «l’antipolitica ha conseguenze peggiori della politica che criticava». Una battuta finale sulla vita con la scorta, dove Giletti ammette «è figlia della solitudine. Se avessi avuto più colleghi che si occupavano di questo caso oggi non sarei un obiettivo. Sono rimasto solo, sono diventato un obiettivo e quindi oggi devo essere scortato».

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