Massimo Giletti non esclude il ritorno in Rai, a patto però di avere quella libertà che ha trovato a La7. «Sono vivo, combatto, spero di andare e venire molte volte», spiega il conduttore di Non è l’Arena a Specchio. Si racconta la «storiella» di lui che lascia, ma il punto è che ha scelto di non essere «un impiegato della tv». E infatti quando Urbano Cairo gli ha offerto «un contratto di cinque anni», come accaduto con Lilli Gruber e Giovanni Floris, lui ha rifiutato. Ne chiese due, perché ha la necessità di lavorare stando sul pezzo. «Mi sento un po’ come Conte». Non Giuseppe, ma Antonio. «Alla mia squadra chiedo il massimo perché sono abituato a dare il massimo. Ecco perché faccio contratti più brevi, non perché amo il tira e molla». Ora le possibilità che resti a La7 sono al 51%. «Non sono più l’uomo che arrivò a La7. Lasciai la Rai per non rinunciare alla mia dignità. Volevo continuare a fare inchieste e cercavo una strada diversa. Oggi la mia vita è un’altra, giro con la scorta. Sono cambiato io, è cambiato il mio modo di ragionare». E quindi ha parlato con il suo editore dei disagi che sta provando. Ma con Urbano Cairo c’è un legame ormai stretto: «Il giorno del funerale di mio padre ho sentito una mano appoggiata sulla spalla. Mi sono girato e l’ho visto lì. Ci siamo abbracciati. Sono cose che restano».
Quando gli viene chiesto se sia stato cercato anche da Discovery: «A queste domande non rispondo mai né sì né no. Ma chi fa buoni ascolti diventa appetibile per il mercato. Ricordo una persona, in Rai, che mi disse: se vai a La7 sei morto. Si sbagliava». In Rai comunque ci tornerebbe: «È stata casa mia per 30 anni. Escludere un ritorno sarebbe un errore. Ma la mia tv ha bisogno di libertà e di un editore forte».
MASSIMO GILETTI E LA MORTE DEL PADRE
Ed è parlando del padre che Massimo Giletti scoppia a piangere durante l’intervista a Specchio. «Ero con lui, l’ho vestito per l’ultima volta mettendogli la cravatta rossa della Ferrari». È ancora scosso. «È tutto così sconvolgente che ancora non riesco a essere lucido. Se ne va una parte di te e tu lo capisci solo quando l’hai persa. Abbiamo avuto un rapporto complesso, contrastato, con diversi non detti». Ora vorrebbe abbracciarlo e dirgli grazie. Intanto guida la Giletti spa, azienda leader nella produzione di filati. Ma sono i fratelli Emanuele e Maurizio a mandare avanti l’azienda. «Assieme abbiamo deciso di proseguire il progetto di mio padre, anche per aiutare la valle». E non esclude di sposarsi: «Magari lo farò. Chi lo sa, nel cambiamento che sto vivendo forse c’è anche questo. Mio padre, il Covid, la scorta. Tutto sembra dirmi: condividi la tua vita con chi ami». Ma parla anche dei colleghi che lo hanno deluso. «Non ricevere neppure un sms di solidarietà dai colleghi della tua azienda, con l’eccezione di Mentana, è una cosa che ti colpisce». Gli vengono nominati Giovanni Floris, Lilli Gruber e Corrado Formigli. Lui attacca: «Da quando ho fatto la battaglia contro la scarcerazione dei mafiosi e sono stato minacciato di morte da Cosa Nostra, nessuno di loro mi ha invitato a parlarne pubblicamente. Un segnale di isolamento che umanamente non riesco a cancellare».
“FABRIZIO CORONA? ANIMA POSITIVA”
La questione politica c’entra poco per lui, cioè il fatto che sono colleghi di sinistra. «Ho fatto battaglie durissime contro la gestione politica di una regione di destra come la Calabria e ho attaccato la regione Lombardia per il piano pandemico. Per me il prodotto viene prima di tutto». Infatti, con Roberto Saviano c’è stima pur con idee diverse. Riguardo le critiche riguardanti i temi da lui affrontati a Non è l’Arena, Massimo Giletti provoca: «Se Amici (Mariano, ndr) va da Formigli nessuno dice nulla. Se viene da me si scatenano le critiche». Per quanto concerne invece Fabrizio Corona, lo definisce «un uomo complesso, con delle capacità che altri non hanno e io guardo alla sua anima positiva. Riesce a parlare con le persone». Infatti, è riuscito a far parlare uno dei ragazzi del caso Ciro Grillo, è andato nel bosco di Rogoredo. «Per chi, come me, è totalmente concentrato sul prodotto, sono cose importanti. Ma capisco che si faccia fatica ad accettarlo». Lui stesso si definisce un conduttore non normale: «In trasmissione entro in una specie di trance agonistica. (..) Fondamentalmente resto un anarchico. Sul prodotto faccio un lavoro certosino, ma non sono uno da salotti». Ma il suo essere politicamente scorretto lo rende scomodo. «Con il mio gruppo ci siamo accorti che quest’anno abbiamo avuto pochi nomi importanti della grande politica. Forse è un bene».