Nel giorno del ventennale della sua scomparsa a ricordare Gino Bartali ci ha pensato anche la nipote Lisa, che in un’intervista a Repubblica ha parlato dei momenti vissuti insieme al nonno nell’intimità familiare: “Era un nonno tenero e burbero al tempo stesso, schietto e molto semplice. Con lui si parlava di tutto, ma raramente di ciclismo. Perché il ciclismo era talmente la sua vita, che nella quotidianità preferiva dedicarsi ad altro, e molto si dedicava a noi, i suoi cinque nipoti. Abitavamo nello stesso palazzo, in piazza Elia Dalla Costa, a Firenze, noi al piano terra e loro, i nonni Gino e Adriana, più su. Lui mi ha regalato la prima biciclettina, una Bimm Bartali, e con lui ho imparato a pedalare nel parco dedicato proprio al cardinale Dalla Costa, con cui il nonno collaborò per salvare tanti ebrei. Un rito era il presepe ai piedi dell’altare nella cappellina che aveva a casa, dedicata a Santa Teresa del Bambin Gesù“. L’eccezione alla regola, secondo i racconti di Lisa, era il Giro d’Italia: quando nonno Gino era a casa lo si guardava tutti assieme e in quel caso Bartali raccontava le esperienze delle tappe che aveva vissuto e dei posti che aveva visitato con la carovana del Giro. (agg. di Fabio Belli)



GINO BARTALI: SALVO’ 800 EBREI DA DEPORTAZIONE

Gino Bartali, a 20 anni dalla sua morte, continua a fare parlare di sé, non soltanto per il suo incommensurabile talento sui pedali, ma anche e soprattutto per lo spessore umano che lo contraddistingueva. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, il cardinale di Firenze, l’arcivescovo Elia Dalla Costa, gli affidò un incarico di grande responsabilità, facendolo entrare nella rete clandestina di Assisi, gestita dalla Chiesa cattolica, al fine di proteggere gli ebrei a rischio deportazione da parte dei nazisti. La missione del ciclista consisteva nella consegna di documenti falsi, provenienti da una tipografia segreta, alle famiglie ebree di tutt’Italia, nascondendoli nel manubrio e nel reggisella della sua bicicletta, che non veniva mai perquisita a fondo dalla polizia fascista, poiché il campione si premurava sempre di sottolineare che il mezzo avrebbe potuto subire deformazioni sotto il profilo dell’assetto aerodinamico. Con questo trucco, Gino Bartali salvò la vita ad almeno 800 ebrei e ospitò anche l’amico Giacomo Goldenberg con la sua famiglia all’interno della propria abitazione: un grave rischio, poiché, se fosse stato scoperto il segreto, sarebbe stato ucciso. Questo la dice davvero lunga su chi fosse Gino Bartali. (aggiornamento di Alessandro Nidi)



GINO BARTALI: UN CAMPIONE ETERNO

Il 5 maggio 2000 moriva Gino Bartali: sono passati dunque venti anni dal giorno in cui l’Italia pianse l’addio a un campione del ciclismo che ha scritto pagine di storia non soltanto in bicicletta. Cominciamo dai numeri, che sono quelli di un fenomeno: Gino Bartali ha vinto tre Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946), due Tour de France (1938 e 1948), quattro Milano Sanremo, tre Giri di Lombardia e tantissime altre corse di primo piano. Un campione, soprattutto scalatore sopraffino (vinse sette volte l’apposita classifica al Giro più due volte al Tour), nonostante un rivale come Fausto Coppi e soprattutto una carriera spezzata in due dalla Seconda Guerra Mondiale.



Già, perché la vicenda di Gino Bartali si intreccia più volte con la Storia con la S maiuscola e non “solo” quella del ciclismo o dello sport. La vittoria di Gino Bartali al Tour de France 1948 fu ad esempio fondamentale per rasserenare il clima di tensione generato in Italia dall’attentato subito da Palmiro Togliatti proprio nel corso di quella Grande Boucle, ma soprattutto Bartali è stato dichiarato ‘Giusto tra le nazioni‘ grazie al suo grande impegno in favore degli ebrei proprio durante la Seconda Guerra Mondiale.

Infine, non si può dimenticare che Gino Bartali e Fausto Coppi furono, insieme al Grande Torino del calcio, i simboli della rinascita dell’Italia dalle macerie del conflitto: un’Italia nella quale ai tempi il ciclismo era probabilmente ancora più popolare del calcio.

GINO BARTALI: I PRIMI GRANDI SUCCESSI

La prima parte della vita e della carriera di Gino Bartali possono dunque essere definite “normali”, per quanto possa essere considerato normale un campione dalla classe cristallina, che in salita faceva la differenza come pochi altri nella storia del ciclismo. Ottimi risultati da dilettante e un inizio fra i professionisti da campione di razza, tanto che già nel 1936 (a 22 anni non ancora compiuti) Gino Bartali vinse il suo primo Giro d’Italia e poi il Giro di Lombardia, anche se quell’anno fu segnato dalla tragica morte del fratello minore Giulio, a sua volta ciclista dilettante, deceduto a causa di un incidente in gara.

Nel 1937 ecco la seconda vittoria consecutiva al Giro d’Italia e un ottimo debutto al Tour de France, terminato però con una caduta che lo costrinse al ritiro mentre era in maglia gialla. Nel 1938 la decisione di puntare tutto sul Tour: missione compiuta e trionfo a Parigi, senza rispondere con il saluto romano alla premiazione.

Nel 1939 ecco la prima vittoria alla Milano Sanremo, un altro successo al Lombardia e il secondo posto al Giro, nel 1940 un altro trionfo a Sanremo, ma quell’anno è destinato a cambiare la storia in tutti i sensi. Il Giro d’Italia infatti andò al giovane Fausto Coppi, ma soprattutto subito dopo la fine della Corsa Rosa l’Italia entrò nella Seconda Guerra Mondiale.

GINO BARTALI “GIUSTO TRA LE NAZIONI”

In quegli anni dunque Gino Bartali utilizzò la sua fedele bicicletta per “vincere” una corsa ancora più importante: salvare quanti più ebrei possibile dalla deportazione nei lager nazisti, con la collaborazione con l’arcivescovo di Firenze Elia Angelo Dalla Costa. In particolare tra il 1943 e il 1944, Bartali compì numerosi viaggi in bicicletta fra Cortona e Assisi, trasportando documenti e foto tessere nascosti nei tubi del telaio della bicicletta affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati.

Fedele al motto “Il bene si fa, ma non si dice“, solo dopo la morte di Gino Bartali questa sua attività fu evidenziata come merita, tanto da ricevere numerosi premi postumi, come la medaglia d’oro al merito civile nel 2005 e l’ingresso tra i Giusti fra le nazioni nel 2013.

Il 1946 fu l’anno della rinascita, anche per il ciclismo, e Gino Bartali firmò la vittoria nel primo Giro d’Italia del secondo dopoguerra. Nel 1947 ecco il ritorno alla vittoria anche alla Milano Sanremo e negli stessi anni anche due successi consecutivi al Giro di Svizzera, ma la pietra miliare dell’ultima parte della carriera di Gino Bartali fu sicuramente il trionfo al Tour de France 1948, al quale Ginettaccio arrivava per molti con l’etichetta di “corridore finito” dopo l’ottavo posto al Giro d’Italia.

GINO BARTALI E IL TRIONFO AL TOUR DE FRANCE 1948

La prima parte di quel Tour de France 1948 francamente sembrava confermare quei timori: Gino Bartali infatti, pur avendo vinto ben tre tappe, si presentò ai piedi delle Alpi con circa 21 minuti di ritardo dalla maglia gialla Louison Bobet, ma in due giorni (fra il 15 e il 16 luglio) scrisse la storia con due trionfi leggendari nelle tappe di Briancon e Aix les Bains, prendendosi così la maglia gialla che avrebbe portato fino a Parigi, aggiungendovi nei giorni successivi altri due successi di tappa per chiudere la classifica generale con 26’16” di vantaggio sul belga Brik Schotte.

Come si accennava, quelli furono anche i giorni dell’attentato a Togliatti che mise l’Italia sull’orlo di una guerra civile: fu lo stesso Alcide De Gasperi a esortare Bartali a rimanere al Tour nella speranza che il campione catalizzasse l’attenzione generale con le sue imprese. Andò proprio così e il peggio dunque fu scampato anche grazie al trionfo francese di Bartali.

Negli ultimi anni della carriera arrivarono ancora alcune vittorie di rilievo come l’ultima Milano Sanremo e altri tre podi fra Giro e Tour e migliorarono anche i rapporti con Fausto Coppi, che aiutò nei due Tour vinti dal Campionissimo. Erano le due facce dell’Italia di allora: Gino Bartali cattolico devotissimo, terziario francescano, marito fedele per 60 anni della moglie Adriana, agì nella sua vita secondo la fede e tanti dei suoi gesti si spiegano proprio alla luce di questo, a cominciare dal mancato saluto romano del 1938 fino naturalmente all’azione con Dalla Costa in favore degli ebrei. Un campione nel ciclismo e nella vita.