Ospite dal Salone del Libro torinese un ormai quasi novantenne – li compirà il 23 settembre – Gino Paoli ha presentato la sua autobiografia, ‘Cosa farò di grande’, raccontandone alcuni retroscena alla redazione del Corriere della Sera partendo, non a caso, dal fatto che “come tutte le cose della mia vita mi è capitata addosso”. Un discorso che applica, infatti, anche alla musica perché ricorda che all’epoca del debutto “facevo il grafico pubblicitario“, almeno fino a quando Gianfranco Reverberi lo convinse a registrare alcuni brani per Nanni Ricordi. Quest’ultimo, racconta Gino Paoli, “disse: ‘Le canzoni forse non mi interessano, ma il cantante mi piace” dando il via a due anni in cui si dedicò alla musica “per gioco“, salvo poi rendersi contro che “per una serata prendevo il doppio di quanto mi dava lui di stipendio”. 



Un amore che ha conservato e coltivato per tutta la vita e che in lui è fiorito fin dalla più tenera età, quando i carri armati americani stanziarono a Pegli, un quartiere di Genova: “Si erano portati dietro i giradischi”, racconta Gino Paoli, “e dai carri usciva la musica fantastica di Louis Armstrong e visto che avevano solo roba in scatola e noi avevamo un orto, scambiavo un pomodoro con un disco“. 



Gino Paoli dall’addio al palco, alla cocaina e al ritorno in scena

Quella musica è sempre stata per Gino Paoli un porto sicuro, tranne per una breve finestra su finire degli anni ’60 quando, racconta al Corriere, “hanno iniziato a chiedermi canzoni politiche. Non capivo che cacchio intendessero e non avevo più voglia di cantare”. In quegli anni si dedicò ad “un casinò a Levanto che aveva bisogno di un gestore” e tornò sui passi della musica solo perché “mi facevo un po’ di cocaina, un giorno arrestarono il mio pusher e sono rimasto senza”; così Gino Paoli andò a leggere i testi che aveva scritto in quel periodo e si rese conto che “erano orrendi”.



Pensando al futuro e al presente, il cantante si dice favorevole all’insegnamento della musica d’autore a scuola, purché sia fatto “nel modo giusto. I poeti”, spiega, “sono stati massacrati dalla scuola, che cercando di imporli li ha resi polverosi. Quando poi li riscopri da adulto, ti rendi conto di quanta bellezza” ci sia nelle loro parole. Ed equiparandosi a Bob Dylan che ha vinto un Nobel per una sua canzone, Gino Paoli ritiene che la sua canzone che “è riuscita meglio a trasformate un’emozione astratta in fatto concreto è Sassi“.