Il gioco delle tre campanelle non è reato. Lo hanno stabilito i giudici della Cassazione, negando che la pratica nota anche come “gioco delle tre carte” o delle “tre tavolette” costituisca in sé un raggiro. Nella sentenza 48159 del 2019, come riportato da La Repubblica, i togati hanno ribadito ciò che la Corte di Cassazione aveva già scritto in una sentenza del 1985 (la numero 11666): “Chi dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì una regolare continuità di movimenti”, sia pure con una “estrema abilità”. Secondo il ragionamento dei giudici, chi accetta di partecipare al gioco, ancora oggi praticato in tante piazze italiane o nelle aree di sosta degli autogrill, è consapevole della “abilità e destrezza” di chi propone una ricca vincita a patto di indovinare la campanella, la carta o la tavoletta giusta.



GIOCO DELLE TRE CARTE NON E’ REATO

Certo i giudici della Cassazione hanno chiarito che il reato si manifesta qualora una “attività fraudolenta” viene associata “all’abilità e alla destrezza di chi esegue il gioco”. Diverso è il caso in cui il banco lascia credere al malcapitato “pollo” di avere delle particolari abilità visive capaci di condurlo alla vittoria. Dal momento che queste condizioni non sono state dimostrate nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado della Corte d’appello di Bologna che aveva condannato un uomo originario di Caivano (provincia di Napoli) e una donna di Lucca per “truffa in concorso”. Una decisione che non farà piacere a Striscia la Notizia, che tra il 2009 e il 2016 aveva dedicato molti servizi al gioco delle tre campanelle svelando anche il trucco: chi tiene il banco, come prima mossa sposta la campanella che nasconde la pallina. E, mentre lo fa, sposta la pallina sotto un’altra campanella senza che il “pollo” possa rendersene conto. Il signore di Caivano e la signora di Lucca, secondo quanto stabilito dal giudice di primo grado, dovranno però rispondere in un nuovo processo per aver preso del denaro dalle mani del giocatore “senza che costui avesse materialmente puntato nemmeno parte di tale somma”. Scrive la Corte di Cassazione: “La sottrazione della cosa mobile altrui – cioè del denaro – costituisce presupposto di altra fattispecie criminosa rispetto alla truffa”.

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