C’è una data che lavoratori e imprese del gioco legale del Lazio hanno ben impressa nelle loro menti. È quella del 28 agosto, quando l’entrata in vigore di una norma regionale rischia di portare alla chiusura oltre 5mila punti gioco tra sale specializzate, bar e tabacchi, con ricadute occupazionali per quasi 16mila lavoratori.
Il contrasto al gioco è un dovere delle istituzioni e la presa in carico della ludopatia come tema rappresenta un dovere non più rinviabile ma le modalità con cui viene svolta lasciano qualche perplessità. Ma ricostruiamo la vicenda.
Un insieme di norme che abolisce il gioco legale dal 99% del territorio
Nel 2013, in assenza di una norma nazionale e sull’onda di quanto stava succedendo in altre regioni italiane, il Lazio decide di dotarsi di una legge di contrasto al disturbo da gioco d’azzardo patologico. Nel raggio di 250 metri da una serie di luoghi sensibili – come scuole, chiese e ospedali – viene vietata l’apertura di nuove sale gioco.
Ma in rapida successione, tra il 2018 e il 2020, si accelera sulle limitazioni generando di fatto un quadro che potrebbe determinare l’espulsione del gioco legale in quasi tutto il territorio regionale. La distanza dai luoghi sensibili viene infatti portata a 500 metri, ma soprattutto viene estesa anche alle attività esistenti. Anche i punti già autorizzati sono inclusi, anche quelli dei piccoli esercenti come bar e tabaccherie che avevano sostenuto investimenti per fornire una risposta legale alla purtroppo crescente domanda di gioco.
A seguito di queste norme da agosto il Lazio – unica regione in Italia – rischia di espellere il gioco legale dal 99% del suo territorio. A confermarlo sono gli studi urbanistici indipendenti realizzati dallo studio di architettura Menato e Meneghetti di Padova, secondo il quale il combinato disposto del distanziometro e dei vincoli urbanistici e paesaggisti, legati soprattutto ai centri storici, generano un effetto espulsivo dalle conseguenze devastanti per lavoro e legalità.
L’allarme dei rappresentanti di bar e tabacchi “Senza reddito 3mila famiglie”
A lanciare l’allarme è stato, nelle scorse settimane, l’Ufficio studi FIPE, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi di Confcommercio. “La particolare modalità di applicazione del “distanziometro”, unita con i luoghi sensibili individuati dalla legge, comporta nel Lazio la non insediabilità delle attività con offerta di gioco in oltre il 99% del territorio urbano dei capoluoghi. Per bar e tabacchi, già fortemente provati dalle chiusure e dalla crisi economica seguita alla Pandemia – spiegano gli esperti dell’Ufficio studi -, la drastica riduzione dell’offerta di gioco potrebbe portare alla chiusura delle attività, con effetti di perdita di reddito per circa 3mila famiglie. Gli effetti sarebbero evidentemente moltiplicati per le sale specializzate, dove sono a rischio oltre 7mila dipendenti”.
I sindacati: “A rischio 16mila lavoratori”
Stessa preoccupazione emerge da una lettera che i sindacati di categoria hanno inviato qualche giorno fa alla Regione, con la richiesta di un incontro urgente. I delegati di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e UilTucs mettono al centro delle loro riflessioni il destino dei 16mila lavoratori impiegati presso le sale gioco, le sale bingo, le case da gioco, nonché per gli addetti dell’indotto commerciale.
Al necessario riordino della dislocazione territoriale a livello nazionale, come più volte annunciato, i delegati sindacali affiancano considerazioni sull’entrata in vigore del distanziometro nella regione Lazio che provocherebbe a livello occupazionale una situazione drammatica, in un momento in cui le famiglie soffrono già per le ripercussioni della guerra e dell’inflazione.
“L’inevitabile espulsione e chiusura delle attività di gioco legale renderebbe il territorio – si legge nella lettera – estremamente vulnerabile alla proliferazione di un sistema occulto di gioco e conseguentemente, incentiverebbe l’incremento di occupazione precaria, incerta e illegale in un sistema già messo a dura prova dalle chiusure protratte legate alla pandemia da CoVid19 negli anni 2020 e 2021”.
Gli psichiatri: una norma che danneggia i giocatori patologici
Queste regole possono aiutare chi gioca compulsivamente? A questa domanda ha provato a rispondere uno studio realizzato, proprio nella regione Lazio, dalla Società italiana di Psichiatria (Martinotti G, Di Carlo F, Tambelli A, et al., “Preventive strategies in gambling disorder: a survey investigating the opinion of gamblers in the Lazio region“, Evidence-based Psychiatric Care 2022).
Secondo gli esperti: “Vietare il gioco nelle aree urbane finisce, paradossalmente, per favorire la compulsività delle persone affette da disturbo da gioco d’azzardo patologico, poiché li isola dallo sguardo degli altri e dal conseguente stigma”.
Inoltre, “Il trasferimento delle aree di gioco al di fuori dei grandi centri finirebbe per creare un’alta concentrazione di luoghi di gioco in aree marginali e periferiche già fortemente penalizzate, con una probabile influenza negativa sui giocatori sociali che vi risiedono”. In altre parole, si rischia di creare “enclave” di giocatori compulsivi con possibili effetti di contagio anche su chi gioca in modo responsabile.
“Quanto emerso da questo studio pilota condotto nella regione Lazio – concludono i ricercatori – è che qualsiasi strategia preventiva per un fenomeno di così grave portata dovrebbe basarsi sulla logica derivata da profonde riflessioni cliniche degli psichiatri e degli operatori sanitari che operano direttamente nel campo del gioco d’azzardo patologico e che conoscono, a fondo, la realtà dei giocatori d’azzardo”.
“La ricerca di soluzioni semplicistiche, in grado di ridurre il settore del gioco d’azzardo presente nel nostro Paese, può solo parzialmente e temporaneamente arginare il problema. Al contrario, sarebbe auspicabile favorire il gioco d’azzardo controllato e legale, insieme ad adeguati sistemi di monitoraggio, come i registri di auto-esclusione”.
Il gioco rappresenta dunque una grave patologia e un fenomeno da limitare con tutte le forze ma le soluzioni semplicistiche, come sempre accade, sono medicine che rischiano di aggravare il male. Con conseguenze, in questo caso non solo sui giocatori ma su tutta la società del Lazio.