Se sull’importanza della transizione ecologica non ha dubbi, sul percorso da seguire per realizzarla invece Giancarlo Giorgetti ne nutre diversi. Il riferimento è al pacchetto “Fit for 55”, il piano per ridurre le emissioni del 55% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. «Rischiamo di mettere una palla al piede all’industria europea, mentre altre grandi economie si fanno meno problemi e corrono», dichiara oggi il ministro dello Sviluppo economico. Si Cina, India e Turchia è previsto un dazio sulle importazioni di beni per la cui produzione si è inquinato molto, ma per il numero due della Lega «rischia di essere una misura autolesionista: può innescare una guerra di dazi, di cui si sa dove inizia ma non dove finisce». Il timore di Giorgetti è di «spostare una parte eccessiva dei costi della transizione ambientale sulle piccole e medie imprese e sulle famiglie dei ceti medio-bassi». Di conseguenza, poi potrebbe innescarsi un fenomeno di disgregazione sociale che potrebbe portare alle proteste. «Se questa transizione causasse una crisi sociale, questa sfocerebbe in una crisi politica dagli esiti oggi imprevedibili».



Non sono timori solo di Giancarlo Giorgetti: a condividerli anche altri ministri europei, pure di partiti lontani dalla Lega. «In privato mi hanno detto che concordavano», ha spiegato nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Quindi, auspica un dibattito più ampio sul tema a Bruxelles. Di sicuro occorre agire, come dimostrano i disastri ambientali che si sono verificati quest’estate.



LA SFIDA DEL RECOVERY FUND

«La sostenibilità ambientale è decisiva, ma io ho in mente un triangolo fatto da sostenibilità ambientale, economica e sociale», ha aggiunto Giancarlo Giorgetti, secondo cui bisogna fare anche in modo di non lasciare per strada disoccupati. Questa è la nuova sfida della politica, non solo italiana. «In un mondo globalizzato la risposta dev’essere coordinata e priva di asimmetrie». Basti pensare al 29% di emissioni globali prodotte dalla Cina contro il 9% dell’Unione europea. Per il ministro dello Sviluppo economico, inoltre, c’è un altro rischio, quello di un mondo del lavoro con persone con qualifiche medio-basse a svolgere lavori di bassa qualità, gli altri a lavorare da casa. «Se questo è il futuro, c’è il rischio che le nostre comunità perdano il loro spirito di coesione. Dobbiamo lavorare perché non accada».



Il Recovery Fund è solo una parte, seppur importante, della risposta per Giancarlo Giorgetti. Per questo nel Consiglio dei ministri ha sollevato una questione concreta: «Dobbiamo assicurarci di avere le risorse umane, imprenditoriali, amministrative per una sfida così grande. Non diamo per scontato di essere pronti». Per il ministro dello Sviluppo economico bisogna avere le capacità di chi ha ricostruito l’Italia dopo la guerra.

“ALITALIA? SCELTE DIFFICILI DA FARE”

Peccato che al ministero non ci sia neppure un centro studi per un’analisi precisa della situazione e delle capacità produttive. Nel frattempo, le crisi industriali si accumulano sul suo tavolo, come Whirlpool, Embraco, Gkn. «Su tutte stiamo lavorando sia con la costituzione di un’unità di esperti specializzata nelle crisi d’impresa – il ministero non aveva questo ufficio – sia con il lavoro discreto e riservato di ricerca di potenziali investitori». Se il ministro del Lavoro Andrea Orlando pensa a nuovi vincoli alle delocalizzazioni delle multinazionali, Giancarlo Giorgetti pensa all’introduzione di una priorità nei finanziamenti alle imprese che si impegnano ad assorbire e collaborare con chi resta senza lavoro nelle aree di crisi.

Invece su Alitalia il ministro afferma che «ci saranno scelte difficili da fare, soprattutto sul fronte occupazionale e sul nuovo contratto del personale assunto da Ita». Nell’intervista al Corriere della Sera ha concluso rivelando che il ministro della Salute Roberto Speranza gli ha assicurato che anche i tamponi salivari potranno essere presto una realtà anche da noi.