La premier Giorgia Meloni è diventata involontariamente protagonista di un video porno diffuso online che la ritrae in atteggiamenti erotici con diversi uomini, oltre che in alcune sequenze di autoerotismo. Un video che, ovviamente, non ha nulla di reale ed è stato creato con una tecnica chiamata negli ambienti digitali “deepfake”, con la quale un volto noto (in questo caso quello della premier) viene sovrapposto a quello di un’attrice o di un attore del settore hard. Così gli spettatori che casualmente si sono imbattuti nel video porno hanno pensato (o potevano farlo) che il soggetto fosse effettivamente Giorgia Meloni, la quale una volta scoperto il filmino che non ha mai girato ha deciso di sporgere denuncia.
Giorgia Meloni parte civile nel processo per il video porno falso
I fatti relativi al video porno falso con il volto di Giorgia Meloni risalgono a circa 3 anni fa, quando venne caricato su un noto sito. Nella sequenza, spiega il Fatto Quotidiano a fronte del fatto che il video è stato ovviamente rimosso, si vede quella che sembrerebbe essere la premier invitare i suoi partner a prepararsi, perché “io sono Giorgia alla mia prima gangbang“. Seguono alcune scene di uno sfrenato rapporto sessuale, oltre ad alcune sequenze di autoerotismo, tutte frutto di una manipolazione grafica.
A scoprire il porno falso che ritrae Giorgia Meloni è stata la sua segretaria personale, Patrizia Scurti, che su spinta della premier ha denunciato l’accaduto alla Polizia Postale. Sono immediatamente scattate le indagini che hanno portato ben presto all’individuazione di Roberto e Alessio Scurosu, rispettivamente padre e figlio di 73 e 40 anni, contro i quali è stata sporta denuncia per diffamazione aggravata. Giorgia Meloni, che si è costituita parte civile nel processo contro i due autori del video porno falso, ha chiesto un risarcimento per danni pari a 100 mila euro, che verrà eventualmente devoluto al fondo nazionale a sostegno delle donne vittime di violenza. L’avvocata dalla premier, Maria Giulia Marongiu auspica che il processo possa essere “utile alla sensibilizzazione sul tema”, sottolineando come “il caricamento di immagini pornografiche artefatte [potrebbe] riguardare qualsiasi ignara donna”.