Giorgio Carra, figlio dell’ex portavoce della Dc Enzo Carra, morto cinque giorni fa, ha parlato del padre sulle colonne del quotidiano “Il Giornale”. L’uomo, 39 anni, si è detto ancora sotto choc per la scomparsa del genitore, che aveva avuto problemi di salute nell’ultimo anno, anche se nulla faceva presagire che le cose potessero precipitare tanto rapidamente. Immancabilmente, la memoria è andata all’arresto in catene di Enzo Carra: all’epoca, Giorgio aveva nove anni e giudica quell’istantanea come “l’emblema di come non devono andare le cose. Poche settimane prima era stato arrestato Totò Riina, che se la rideva, non certo con quegli schiavettoni a favore di camera”.



Enzo Carra, ha proseguito il figlio, è stato messo alla gogna per uno show, a mio avviso per far sì che si capisse chi comandava, chi aveva il potere in quel momento. Era il simbolo della politica vinta dal pool. Ed era uno che non poteva dire niente, se non inventandoselo. Accusato da qualcuno che al momento dell’accusa è stato liberato. Trattato come una bestia”.



GIORGIO CARRA: “MIO PADRE ENZO ERA UN GALANTUOMO”

Nel prosieguo del suo intervento su “Il Giornale”, Giorgio Carra ha sottolineato che il padre Enzo riusciva a commentare tranquillamente quell’episodio: “Si era tolto qualche sassolino ma non era capace di rancori. Una consolazione ora è che sia morto dopo aver visto, anche se solo online, il suo ultimo libro, ‘L’Ultima repubblica’. Il cartaceo è uscito il giorno della morte.

Giorgio Carra ha poi voluto ribadire come il giustizialismo rappresenti la parte peggiore del Paese e che sia la “spettacolarizzazione della giustizia. Saziare le bocche affamate di populismo. Dare in pasto qualcuno nell’arena dei leoni per farsi amico il pubblico. Vorrei solo passasse l’idea del galantuomo che era mio papà. Buono, profondamente onesto. Sono fiero di aver avuto un papà così. Vorrei restasse il ricordo di mio padre com’era”.