Con uno speciale intitolato Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Gli amici geniali”, Techetechete con Achille Corea ci fa forse il più grande regalo che la tv ancora oggi può restituire: basta tutto, chiudete almeno per una sera l’immondizia-trash a cui ormai siete abituati (volenti o no) e provate per un solo minuto ad ascoltare questa coppia tanto strana quanto bislacca che tra Milano, la Rai e il Teatro ha smosso cuori e coscienze per più di mezzo secolo. Dagli spettacoli di cabaret in giro per i locali milanesi passando al duo demenziale-criptico “I due corsari” fino al ritorno alle scene negli Anni Novanta con “Aspettando Godot” per giungere alle cantate in coppia anche solo per le loro rispettive famiglie che sempre hanno frequentato nei lunghissimi anni di una ripetiamo “strana amicizia”. L’inventore del teatro Canzone, si dice sempre di Gaber, è in realtà molto di più e solo ascoltando un testo, una canzone, un monologo scritto con Luporini si ha l’impressione che il massimo pensiero comunicativo, ironico, politico e sociale del Novecento sia spesso passato dagli spettacolo del Signor G. Ne l’Illogica Allegria Gaber canta «È come un’illogica allegria; Di cui non so il motivo; Non so che cosa sia; È come se improvvisamente; Mi fossi preso il diritto; Di vivere il presente». Una inquietudine nell’animo che spesso veniva scambiato per pessimismo o peggio ancora cinismo e che invece ha rappresentato il grido più umano possibile dietro agli sconvolgimenti della realtà prima e dopo il ’68 da Gaber mai “banalizzato” o “idolatrato”.



DALLA FETTA DI LIMONE ALLA LIBERTÀ

Con l’amico Jannacci spesso si divertivano nel irridere, sempre con bonario affetto ma con l’estrema intelligenza dei grandi geni, la società che avevano attorno: e allora quella “Fetta di limone” cantata a squarciagola con i Rayban neri nel piccolo schermo potrebbe sembrare la “hit estiva” di stupidirà invidiabile. E forse un po’ lo è ma con una cifra di talento e cultura che non si è poi più ripetuta in nessuna “coppia” di artisti: «Aveva solo l’urgenza di raccontare qualcosa di reale e personale tutte le sere davanti al suo pubblico, con la costante ricerca di un confronto, con una vera allergia per il pensiero precostituito. La sua scelta di stare in teatro rendeva fortissimo, magico, indissolubile il rapporto con il pubblico» raccontava anni fa a Sorrisi e Canzoni la figlia Dalia Gaberscik, legatissima al papà e allo “zio” Enzino fin da piccola frequentante la loro casa di Milano: un’amicizia in libertà come si evince dall’interpretazione straordinaria di un pezzo di Dario Fo, “Ho visto un re”. Erano diversissimi, l’uno – Gaber – metodico e ragionato, l’altro – Jannacci – sguaiato e improvvisato, eppure hanno saputo dare l’esatta sensazione di cosa volesse dire essere e raccontare la libertà e amicizia umana. Uomini non omologati, mai appiattito che, come il contadino di “Ho visto un re” sanno di aver diritto ad essere tristi «anche se il potere che gli ha levato tutto lo vorrebbe sorridente e beota». Perché il potere non sopporta che un uomo abbia una ferita aperta, non sopporta chi possa ragionare con la propria testa e non con quella dell’opinione pubblica, in nessun senso e in nessuna epoca.



GIORGIO GABER ATTRAE ANCORA OGGI

Stasera lo rivedremo a Techetechete assieme al suo amico Enzino, eppure Giorgio Gaber non è solo “passato”, non è solo quello spruzzo di libertà inquieta e ragionevole che si assapora nei testi delle sue canzoni. No, è anche cultura espressa oggi, è testimonianza costante di intelligenza e di profonda ispirazione per altri artisti anche molto più giovani: nel consueto Festival Gaber al via venerdì 5 luglio da Camaiore si snoderanno moltissimi artisti intenti a celebrare gli 80 anni dalla nascita del Signor G. Dall’amico Piero Alloisio a Nerì Marcore, da Luca Carboni e Giovanni Vernia, da Simone Cristicchi fino a Cosmo e gli Ex Otago. Su quel palco si sono susseguiti negli anni tantissimi comici e musicisti che a loro modo hanno voluto raccontare col “criterio Gaber” la realtà che vivevano davanti (con risultati alterni ma comunque degni di nota). Come raccontava un altro Enzino, Iacchetti, anni fa prima di uno spettacolo al Meeting di Rimini proprio sul teatro-canzone di Gaber «Giorgio ha sottolineato nel corso della sua carriera il medievalismo morale che ha caratterizzato la nostra storia sociale. Il fatto di avere a che fare ancora oggi con i problemi e le storture di cui parlava vent’anni fa ci fa intuire che non abbiamo raggiunto grandi risultati. Diceva che dopo il Medioevo ci sarebbe stato il Rinascimento come spesso accade nella storia, ma noi siamo nel Mediovevo da molti anni e il Rinascimento sembra essere ancora molto lontano».