DALIA GABERSCIK, IL RICORDO DI PAPÀ GIORGIO GABER: “SAPEVA LEGGERE L’ANIMA CON UNA CHITARRA”
Il prossimo 25 gennaio Giorgio Gaber avrebbe compiuto 84 anni: un vuoto enorme per tutti si è creato quel 1 gennaio 2003 quando se n’è andato, in particolare per chi come la figlia Dalia Gaberscik ne ha accompagnato ogni ultimo passo e tutt’ora è impegnata in una vita di memoria collettiva. Nella lunga intervista a Maurizio Caverzan su “La Verità”, l’amata figlia dell’inventore del Teatro Canzone annuncia una collaborazione con la Rai raccogliere «tutti i materiale che in questi vent’anni abbiamo trovato. Stiamo definendo un progetto con la Rai di organizzazione di tutto questo materiale». Ma l’intervista è un’occasione stupenda per ricordare da vicino non solo chi era il Gaber impegnato e autore, ma cosa rappresentava per la sua famiglia questo dinoccolato genio scampato da piccolo alla poliomielite. «La malattia ha formato il suo temperamento, la serietà nell’affrontare le cose. È stata decisiva nella formazione di musicista, lo ha reso tenace nella costruzione dei suoi spettacoli».
Di lui, sottoscrive Dalia, «mi manca il riferimento delle decisioni personali e professionali. Anche sul piano artistico sono organa, come lo sono tutti quelli che l’hanno stimato. Però abbiamo la fortuna che il suo lavoro è ancora attuale». La figlia di Gaber oltre a tenere memoria del padre da vicepresidente della Fondazione Gaber, è anche direttrice dell’agenzia di comunicazione Goigest di cui fanno parte, tra gli altri, Gianni Morandi, Eros Ramazzotti e Laura Pausini: il mondo della musica insomma è rimasto nel solco di Dalia Gaberscik e questo lo deve, unicamente, al rapporto speciale che ebbe con il padre Giorgio. Ambizioso, gran lavoratore ma allo stesso tempo semplice e curioso: questo era Gaber, spiega ancora la figlia a “La Verità”, «Il teatro era solo il posto dove avevano maggiore capacità di penetrazione le cose che voleva dire». Citando il brano “Chiedo scusa se parlo di Maria”, la figlia ricorda l’assoluta rivoluzione di un autore che negli anni delle contestazioni e dei grandi temi impegnati, «pensava fosse altrettanto importante parlare del rapporto tra un uomo e una donna». Gaber voleva essere concreto perché, spiega ancora Dalia, «troppa ideologia finiva in chiacchiere da bar. Chiacchieriamo e pontifichiamo pure, ma se non siamo concreti rischiamo di essere dei ciarlatani, nel senso di ciarlare e basta». Esattamente come canta Gaber in “Al bar Casablanca” dove in maniera iconica prende in giro i grandi impegnati della sinistra radical chic, con decenni di anticipo: con una chitarra Gaber sapeva scandagliare l’animo umano, sapeva leggerti dentro, «la maggior contemporaneità è quando si addentra nell’analisi della persona. Abbiamo molte testimonianze di giovani che lo confermano. […] Nelle questioni che riguardano l’animo umano mi sembra non ci siano rivali».
“GABER SCRIVEVA A DON GIUSSANI, COMUNE PASSIONE PER IL PENSIERO”: IL RACCONTO DELLA FIGLIA DALIA
Criticato dalla sinistra per aver votato la moglie Ombretta Colli quando si candidò con Forza Italia, Giorgio Gaber sapeva sempre andare controcorrente ma non per vanità o per vezzo ma perché non lo esaltavano le ideologie pre-confezionate: spiega Dalia che per lui «il voto va dato alle brave persone e siccome pensava che sua moglie lo fosse, decise di votarla “non mi perdonerei mai se non fosse eletta per un voto”». Fu però osteggiato per questo e considerato un “traditore” della sinistra: ma su questo non se ne fece un grande cruccio in quanto Gaber, rileva la figlia Dalia, «era un uomo di sinistra ma non della sinistra. Richiama i valori della sinistra, senza una necessaria appartenenza alla partitica della sinistra». Caverzan ripercorre molto bene alcuni dei testi più interessanti della immensa produzione gaberiana, soffermandosi su quelli che anticiparono di molti anni temi oggi attuali.
Nel “Potere dei più buoni” Gaber fa una profezia del buonismo terzomondista ecologista in cerca di visibilità: «Era un sentimento omologato che faceva nascere dei sospetti sull’originalità del sentimento stesso». Come sottolinea ancora nell’intervista a “La Verità” la figlia Dalia, «Gaber detestava la superficialità, il tirar via le cose, il fatto di non esser seri. Diceva che voleva essere ricordato come una persona seria, la poliomielite l’aveva formato». Interessante poi il passaggio dove Dalia Gaberscik conferma il grande interesse e passione comune riscopertasi in tarda età per il pensiero dei cattolici impegnati in cultura e politica: in particolare, viene ricordato la partecipazione al Meeting di Rimini (l’amicizia forte con Claudio Chieffo, ma non solo) e il carteggio iniziato con Don Luigi Giussani, sacerdote fondatore di Comunione e Liberazione nonché grande appassionato del Teatro Canzone di Gaber. «Avvenne a fine anni Novanta (il carteggio, ndr), a proposito di persone serie, era incuriosito da gente che aveva voglia di riflettere e pensava. Confrontava quel mondo con la deriva del movimento studentesco che l’aveva affascinato ai suoi tempi». Con la gente del Meeting, conclude Dalia, la curiosità di Gaber andava ben oltre: «interesse sincero verso il mondo dei cattolici, interlocutori che lo soddisfacevano sul piano intellettuale e della passione per il ragionamento. Certo, con posizioni diverse, come sull’aborto e il divorzio».