Forse c’è una sola macchia nella lunghissima ed encomiabile carriera politica di Giorgio Napolitano, morto ieri a 98 anni, e fu quella dei carri armati Sovietici in Ungheria. E’ una vicenda che risale a diversi decenni fa e che in seguito lo stesso Giorgio Napolitano ammise essere un errore. In occasione dell’ottavo congresso del Partito Comunista italiano del 1956, Napolitano elogiò, come ricorda il quotidiano Il Giornale, l’intervento dei carri armati di Mosca a Budapest, sposando così la linea dettata dall’allora segretario del Pci Palmiro Togliatti. Il futuro presidente della repubblica aveva in quell’occasione 31 anni, e da tre era deputato, mentre l’Unione Sovietica aveva deciso di mandare il proprio esercito per reprimere i moti di Budapest.



La dirigenza del Pci condanno tale ribellione definendola controrivoluzionaria, nonostante fosse stata portata avanti da operai che si stavano battendo per difendere la propria terra e la propria libertà. Ma come scrisse l’Unità in quel periodo, i ribelli vennero definiti “teppisti” e “spregevoli provocatori”. Napolitano, criticando addirittura il compagno Giolitti, disse che “l’intervento sovietico in Ungheria” aveva contribuito che ad impedire che l’Ungheria finesse nel caos e nella controrivoluzione, “non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”.



GIORGIO NAPOLITANO E L’INVASIONE DELL’UNGHERIA DELL’URSS: LA MARCIA INDIETRO NEL 2005

Giorgio Napolitano anni dopo ammise che quella presa di posizione fu errata, e manifestò il suo cambiamento di pensiero nel 2005, in occasione dell’autobiografia “Dal Pci al socialismo europeo”, dando di fatto ragione ad Antonio Giolitti e riconoscendo che alla fine i dirigenti comunisti ungheresi avevano fatto bene ad opporsi ai carri armati sovietici.

Come detto in apertura, fu una macchia che il bi-presidente della repubblica si portò dietro per lungo tempo, esattamente per 49 anni, dal 1956 fino al 2005, quando appunto fece marcia indietro riconoscendo l’errore. Va detto che comunque lo stesso futuro capo di stato nel 1968 condannò l’invasione di Praga da parte dell’Urss: il segretario del Pci Berlinguer ne aveva preso le distanze, non sostenendo Mosca e all’epoca Napolitano faceva parte del Comitato centrale del partito.