Raccattò una borraccia lanciata da un corridore, quel bambino di sei anni lungo una strada polverosa della pianura. Non c’erano francesi incazzati, ma un dopoguerra in divenire, pieno di fame e quindi di opportunità. La borraccia era di quell’uomo solo al comando, il suo nome era Fausto Coppi. Prima di diventare l’industriale che ha creato un’azienda di successo presente in 81 paesi con 9mila dipendenti, il sogno di famiglia, lo stesso di suo padre, era quello di essere un ciclista professionista. Suo padre Rodolfo ci aveva provato ma non era diventato il campione che sperava, così aveva avviato a Milano, in viale Jenner, con quattro operai, il piccolo nucleo aziendale che, nel 1970, divenne la nuova Mapei, leader mondiale di materiali edilizi e industriali.
Imprenditore di spirito sportivo, tifoso del Milan, Giorgio Squinzi, scomparso due giorni fa a 76 anni dopo una lunga malattia, non tentò neanche di diventare ciclista. La sua sfida sulle due ruote se la giocava ogni anno salendo allo Stelvio con gli amici. Però se non era diventato un corridore, divenne un patron di corridori con la famosa Mapei. Portò grandi campioni a vestire quella maglia e a ottenere grandi successi. Appassionato di sport, odiava gli imbroglioni e gli imbrogli e così, a cavallo del terzo millennio, quando il doping passò dalle bombe fatte in casa, dalla pastiglia dei vecchi tempi ad associazione a delinquere con medici prezzolati, sacche di sangue e laboratori creati apposta, mollò le due ruote. Un amico gli chiese se poteva dare una mano al Sassuolo che non se la passava troppo bene. Lo ha portato dalla C2 all’Europa League, dal 2013 risiede in serie A, è stata la seconda società, dopo la Juventus, ad avere lo stadio di proprietà e un centro tecnico all’avanguardia, il “Mapei Football Center”.
La sua forza è stata quella di avere dei valori, la famiglia prima di tutto, e di inserirsi così nella linea della grande industria privata, quella che ha trasformato l’Italia. Nella sua attività imprenditoriale e in quella sportiva ha sempre costruito tutto partendo dalle sue origini, da quello in cui credeva, riservato ma senza timore di coinvolgersi, generoso ma senza aver paura della ricchezza, rispettoso dei ruoli, anche del suo. Un vero modello di integrazione, dove integrazione è accogliere l’altro senza perdere non significa rinunciare a quello in cui si crede. Insomma, un cumenda di una volta, dell’Italia di una volta. Volti difficili da dimenticare, praticamente impossibile ritrovare.