In un mondo dove prevale la giungla dei social network, si può ancora parlare dell’informazione giornalistica come strumento utile e credibile di conoscenza e di partecipazione alla vita democratica? E, se la risposta è sì, a quali condizioni? Con quali principi ideali e deontologici e con quali strategie rispetto alla rivoluzione digitale? Il tema ha interessato molto il popolo del Meeting che nella giornata conclusiva della manifestazione ha in gran numero seguito con attenzione la conversazione su questi temi fra quattro direttori di quotidiani nazionali (Lucio Fontana, Corriere della Sera; Maurizio Molinari, la Repubblica; Roberto Sommella, MF-Milano Finanza; Agnese Pini, QN-Giorno, Resto del Carlino, Nazione) condotta dal presidente del Meeting, Bernhard Scholz.



Al bando l’odio

Poco prima di questo incontro, aveva parlato al Meeting il capo dello Stato. Un discorso denso, puntato sull’amicizia come fondamento delle comunità umane e anche politiche, valore pregnante della nostra Costituzione, che bandisce l’odio e concepisce l’Italia come comunità dotata di un’identità plurale, frutto dell’integrazione solidale fra diversi.



Non era fuori tema chiedere ai direttori un commento alle parole di Mattarella e Scholz lo ha fatto subito in apertura. Agnese Pini ha particolarmente apprezzato due stroncature: negazione dell’esistenza di una identità etnica italiana e negazione di un diritto all’odio (riferimento al caso del generale Vannacci). A Roberto Sommella è piaciuto il concetto di “amicizia come investimento per il Paese” espresso da un presidente che incarna bene il senso di unità del Paese nella complessità dei problemi. Che i gruppi politici si posizionino su linee di legittime differenze e non sulla ricerca dello scontro a tutti i costi sarà la prova attesa per il confronto politico dei prossimi mesi. Anche per quanto riguarda l’immigrazione, che non va presa per emergenza ma come questione epocale dei prossimi decenni e come tale affrontata senza giocare con gli slogan. Molinari ha aggiunto l’apprezzamento per il richiamo di Mattarella al tema dell’ambiente, con una stoccatina del direttore di Repubblica alla Meloni “che non hai mai pronunciato le parole cambiamento climatico”.



Informare non schierare

Adesso arriva dritta la domanda sul ruolo dei quotidiani e sul compito dei loro direttori. I quotidiani possono e sanno contribuire a un’informazione corretta e affidabile, a una riflessione serena, a una conoscenza della complessità che eviti le terribili, frequenti riduzioni? Scholz introduce la questione citando un passo dell’enciclica Fratelli tutti: “Venendo meno il silenzio e l’ascolto e trasformando tutto in battute e messaggi rapidi e impazienti, si mette in pericolo la struttura basilare di una saggia comunicazione umana”. Per il giornalista, come afferma Fontana, la rivoluzione digitale cambia tutto, dal modo di reperire le notizie al problema della loro verifica in un flusso di migliaia e migliaia di informazioni dove le news si mescolano alle fake. “Valgono i principi sani di sempre della professione: essere seri e responsabili, verificare la notizia. E rispettarla, non piegarla a gusti o interessi”.

Altra grande direttiva: il rispetto del pluralismo delle opinioni. “Il giornale al mattino deve spalancarmi alla realtà, non chiudermi l’orizzonte”. Conservare le qualità del buon giornalismo è anche la “ricetta” di Molinari: “Verificare, approfondire sul campo con occhi ingenui e spalancati, non pregiudizievoli, non ignorare i dubbi”. E nello stesso tempo “i giornalisti devono studiare e conoscere di più per applicare al meglio le nuove tecnologie, che ci danno accesso a un pubblico più vasto”. Concorda la Pini, per la quale è da sciogliere la confusione tra informazione (giornalistica, quindi mediata) e comunicazione (social, quindi diretta, per esempio il post di un politico). “I sistemi democratici si fondano sull’informazione, quelli autocratici sull’autocomunicazione del potere”. L’informazione è anche riconosciuta come “servizio essenziale”, fa rimarcare Sommella, dall’aprile 2020, tempo di Covid. A maggior ragione vale la lezione di Lepri (storico direttore dell’Ansa): “Scrivere bene e farsi capire è esercizio di democrazia”.

Illusione di democrazia

E pericolosa per la democrazia è per Scholz la tendenza dei social a ridurre la complessità, ostacolando o impedendo la comprensione del problema e inducendo a prendere posizione e a scontrarsi su un massimalismo sì-no infondato. “I social dove tutti possono scrivere e dire la loro formano un’illusione di democrazia”, dice il presidente del Meeting. I quotidiani devono stare bene attenti a non confondersi con questa deformazione dell’informazione. “Non fermiamoci a tesi-antitesi, cuoricino-non cuoricino”, ammonisce Pini.

“Non abdichiamo al buon italiano che a differenza degli inglesismi è la lingua della complessità e delle sfumature”, suggerisce Sommella. Molinari vede questa strada: “Sviluppare l’inserimento dei diritti dell’informazione nel mondo digitale, secondo il modello europeo indicato dalla Merkel in contrapposizione a quello cinese (totalmente regolato dal partito) e quello americano (senza regole e dominato dai poteri economici). Una nota di ottimismo: la profezia che il web avrebbe eliminato i giornali si è dimostrata falsa. Fontana fa presente che oggi il New York Times ha oltre 8 milioni di abbonati. “Cioè molti tornano ad apprezzare un’agenda informativa quotidiana strutturata, dove le notizie e le opinioni sono selezionate, gerarchizzate e soprattutto affidabili”.

Identità e pluralismo

Un quotidiano deve avere la sua identità e garantire il pluralismo. Come? L’identità vuol dire una fisionomia propria, riconoscibile; non una identità faziosità e monolitica, in cui i lettori sono quelli che si specchiano nel giornale e basta e viceversa il giornale parla solo ai fans. “Nel giornale – è Fontana che lo sottolinea – uno deve trovare anche ciò che non pensava prima, un’opinione diversa con cui confrontarsi, uno stimolo a conoscere meglio”.  “Se no ci si chiude nella bolla dell’algoritmo”, aggiunge Pini. Un buon giornale è frutto non di un pensiero unico, ma dell’apporto di tutti quelli che ogni mattina danno il proprio contributo di idee, opinioni e proposte nelle riunioni di redazione con il direttore”.

Una volta, vado a memoria, si diceva opera dell’ingegno collettivo. L’ingegno è auspicabile che ci sia. Il collettivo, possibilmente amichevole e collaborativo, non può non esserci.

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