“A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina” è una faccia della medaglia che, sul verso opposto, reca incisa la parola “pregiudizio”. La circolare con cui il ministero dell’Istruzione invita i docenti “a creare occasioni di approfondimento con i propri studenti sui temi legati alle discriminazioni, al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, nonché contro ogni forma di atteggiamento pregiudiziale basato sull’orientamento sessuale, in calendario oggi, 17 maggio, si presta appunto a questa doppia, insinuante interpretazione.



Perché se è vero che il documento si limita, appunto, ad “invitare” e non ad obbligare, a precisare che ci si deve muovere “nell’ambito della propria autonomia didattica ed organizzativa”, a richiamare alla necessità di educare “alla cultura del rispetto per prevenire e contrastare ogni forma di violenza e discriminazione”, tutti principi sacrosanti, la storia parlamentare della nostra Repubblica è troppo piena di colpi di mano sui temi eticamente sensibili per non indurre a tenere gli occhi bene aperti sull’uso di un sistema surrettizio, chiamiamolo cavallo di Troia per intenderci, vecchio di millenni.



Del resto, è la stessa dichiarazione rilasciata via Facebook dalla senatrice M5s Alessandra Maiorino a prestare il fianco al sospetto che la Giornata possa servire da grimaldello non solo per diffondere il ragionevole rispetto dovuto a chicchessia, ma soprattutto la propaganda gender nella scuola (che, come noto, oltre tutto è frequentata per la quasi totalità da minorenni): “Se le destre sono contrarie all’uguaglianza di tutti i cittadini e le cittadine, lo dicano chiaramente. Ma in tal caso, non possono rappresentare il popolo nelle Istituzioni, perché tradiscono la Carta fondamentale della nostra Repubblica. Il 17 maggio celebriamo l’orgoglio Lgbti, l’orgoglio di esseri umani, ciascuno diverso, ognuno portatore di dignità e diritti in egual misura”.



Ora, che la professoressa prestata alla politica sia stata “sollecitata” alla presa di posizione da un esponente leghista (il sottosegretario all’Istruzione Luciano Sasso) e da altri di Fratelli d’Italia non giustifica un atteggiamento che ancora una volta divide gli italiani a partire dalle proprie scelte di partito, come se essere contro la propaganda gender nelle aule fosse prerogativa soltanto di una parte. 

Vale, ovviamente, anche il ragionamento opposto, in un’Italia che il buon Giovannino Guareschi aveva bollato di “trinariciutismo” (ci si passi il neologismo) più di mezzo secolo fa (la prima uscita il 5 aprile 1947), ma che delle tre narici (quella centrale piazzata per scaricarvi il cervello, così da lasciare il posto alle direttive di partito) continua a non voler fare a meno. Non il partito, infatti, ma la coscienza – o, se preferite, il buon senso – dovrebbe informare il corretto agire, soprattutto quando di mezzo ci sono temi che non sono né di destra, né di centro, né di sinistra.

Quanto al nocciolo del problema: la Nota Miur n. 1972 del 15 settembre 2015, emanata per chiarire la legge 107/2015, ha detto espressamente che “tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né ideologie gender né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo”. Non si capisce, dunque, dove la senatrice veda pericoli di “discriminazioni” o addirittura di “deturpare la loro (dei ragazzi, ndr) naturale propensione all’apertura verso il mondo e alla sua meravigliosa varietà”. 

A scuola non si parla di gender, ma di rispetto gli uni per gli altri. Lo dice il buon senso, lo dice la legge. Già il complicato termine “omolesbobitransfobia” usato dalla parlamentare nota per le sue posizioni in favore delle “famiglie arcobaleno”, fa venire la pelle d’oca. E, insieme, un fondato sospetto che “a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca”.

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