“Comunicare” è un verbo di comunanza: dice il mettere in comune, lo stare assieme, il raccontare una notizia. Un’azione pericolosa: non parte dalla bocca di chi parla, ma dall’orecchio di chi ascolta. Un fatto di udito più che della voce. Oggi, poi, la comunicazione è divenuta quasi un’ossessione: siam tutti presi nel comunicare al mondo intero che stiamo comunicando. Chissà se anche questa è comunicazione: “La comunicazione – scrive H. Bergson – avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento d’anima”. È il segreto che sta nascosto nella scrittura di una lettera: quando l’hai scritta e la infili in una busta, non appartiene più a chi l’ha scritta, diventa proprietà di chi la riceverà. Cessa di custodire le mie intenzioni e inizia a svelare ciò che capisce chi la leggerà.
Ogni anno la Chiesa dedica una delle domeniche alla Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: non un vezzo, un debito o un passatempo, bensì la constatazione che anche Dio e il suo buon Vangelo transitano nelle rotaie delle parole umane: “Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano – scrive Papa Francesco per l’occasione –, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita”.
Come dire: una notizia non è tutto, conta assai lo stile con cui la si racconta, la trama nella quale è incastrata. Perché l’uomo vive di racconti: “Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti – è il Papa –: infatti la capacità umana di ‘tessere’ conduce sia ai tessuti, si ai testi”. Tessere un racconto, dunque, è scoprirsi fornai, impastare il pane con le parole, operare una trasfusione di sangue tra la realtà accaduta e quella comunicata. È scoprire che ogni storia, anche la più rabberciata e sconnessa, è una strada per la quale passa il destino del mondo intero: “Per opera dello Spirito Santo – è uno dei passaggi più toccanti – ogni storia, anche quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro, diventando un’appendice di Vangelo”. Ogni vita, se raccontata nella sua verità, può diventare un’appendice di Vangelo.
Nel dramma del male – ch’è evidente, asfissiante, impossibile da tacere – il piacere di chi racconta è stanare il bello nascosto in quell’intelaiatura malsana: non più, dunque, il motto “una cattiva notizia è una buona notizia” da vendere, ma la capacità di raccontare la bontà, la verità, la bellezza anche quando sono ingabbiate nelle logiche delle notizie bugiarde, della manipolazione della realtà, di un fatto stampato senza averne certificato l’attendibilità.
Nessuna delle parole comunicate lascia immune il mondo degli uomini: “Siamo collegati gli uni agli altri”. È la natura a tramandarci il segreto: un’anatra depone le sue uova in silenzio, mentre una gallina strepita come fosse una posseduta. Il risultato è evidente davanti al bancone frigo di un alimentari: “Tutto il mondo mangia uova di gallina” (H. Ford). Non per questo, comunque, l’anatra si indispettisce.
Il non detto è chiaro: alla fine ognuno racconta ciò che è capace di vedere, e ognuno vede ciò che ha nel cuore. L’inferno racconta inferno. E viceversa.