Il 25 novembre quest’anno è particolarmente  impotente di fronte alla rabbia e al dolore per il martirio della giovane ingegnera massacrata. Raddoppiate le telefonate al 1522, che rimane un fragile presidio su territorio nazionale per raccogliere le denunce delle donne che hanno il coraggio di chiedere aiuto. Mentre folle di persone per lo più donne manifestano e occupano le scuole anche quelle studentesse e studenti che pare saranno destinatari di ore di educazione ai sentimenti, un piccolo programma scolastico sull’onda della catarsi collettiva che il Governo ha lanciato.



Sono convinta che serva un programma più ampio di interventi a lungo richiesti e poi invano promessi per sensibilizzare una cultura al rispetto reciproco tra giovani. L’ora di affettività – se pur con tanti dubbi – è complicata anche perché abbiamo il problema di chi educa gli educatori e non potrà non trattarsi di percorsi interdisciplinari coinvolgendo anche le famiglie. E dovranno essere costruiti bene i moduli informativi perché pensare come promette il ministro Valditara a 30 ore gestite da avvocati,  psicologi, forze dell’ordine, magari ricorrendo a testimonianze fugaci, non sarà mai facile e ci vuole competenza, magari introducendo anche la questione degli uomini al lavoro di cura, coinvolgendo i giovani padri che non si vergognano di prendere il congedo parentale perché stanno volentieri con i propri bambini, figure maschili che condividono la necessità di libertà della madre dimostrando con la buona volontà che sono anche lontani da concezioni fobiche ossessive di dominio aggressivo.



La politica ha fatto il miracolo di votare un ddl che affronta l’ignobile violenza sulle donne che in Italia si colloca al 79esimo posto tra 146 Nazioni monitorate, ma non basta perché rappresenta come al solito impegni che non vengono rispettati e concretizzati. L’intensificarsi di aggressioni micidiali, tentati stupri, molestie sessuali più o meno pesanti, ma anche ritardi negli interventi giudiziari, sottovalutazione delle denunce e richieste di aiuto, sentenze di assoluzione con argomentazioni sorprendenti, mostra che siamo di fronte a un enorme problema culturale.

Riguarda trasversalmente tutti i ceti sociali e tutte le istituzioni, in particolare quelle – polizia, carabinieri e magistratura – che avrebbero il compito non solo di evitare che accada il peggio e di proteggere le vittime, ma anche di ribadire l’inviolabilità del corpo femminile senza il consenso di chi lo abita.



Il divario salariale di genere è un’articolazione del più generale indice chiamato global gender gap, monitorato anche dall’Onu che nei goals, gli obiettivi mondiali per il 2030, vorrebbe portare a zero, realizzando la parità tra i sessi quanto a condizioni materiali e quindi di accesso ad attività e servizi. E proprio l’anno che sta per terminare nell’ultimo rapporto del World economic forum ha segnato a livello globale un’inversione di marcia dopo un periodo di lievissimi miglioramenti.

L’occupazione femminile, secondo i dati Ocse, resta più concentrata nei lavori precari, a bassa qualifica e quindi poco pagati, e in Italia siamo al vertice di una disonorevole graduatoria di disoccupazione. Sta soprattutto aumentando una disuguaglianza tra donne. L’arretramento è dovuto al fatto che l’aumento dell’occupazione avviene in un contesto di polarizzazione delle condizioni delle donne, perciò c’è chi si avvicina alla situazione degli uomini mentre il grosso si allontana. Una disuguaglianza che non è solo generazionale ma anche tra le lavoratrici skilled, dell’economia della conoscenza, e quelle a bassa specializzazione, addette a mansioni domestiche, ad esempio. Con il rischio di riprodurre le stesse dinamiche che si vedono tra uomini e donne.

Siamo ancora troppo lontani e i corsetti scolastici se non introdotti con maggiori risorse e più tempo a sistema tra le aule e sui luoghi di lavoro proprio come prevenzione anche alla salute, al rispetto, possono solo essere poco utili. La cultura dell’ossessione del controllo della sopraffazione va “demolita” anche dimostrando che chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza.

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