La parola “comare” contiene un significato molto bello; se la separiamo otteniamo co-mare che diventa leggibile come “con la madre”. Anche “mammana”, molto usato nell’Italia centrale e meridionale rivela un inusitato e splendente “mamma della mamma” che raddoppia la tenerezza della parola della lallazione primaria. Ma nel tempo questa due parole meravigliose hanno assunto una sfumatura dispregiativa, lasciano amarezza nel palato di chi le pronuncia: così come accade, non a caso, per altre parole che indicano donne che stanno o lottano per la loro indipendenza e il loro lavoro, quali “suffragetta” o “femminista” fino alla ridicola “zitella” e chi voglia pensare ne troverà altre, altrettanto ambigue e profane. Per la professione di colei che sta accanto a una madre ora si usa “ostetrica” che è sdoganata in quanto termine medico; eppure il parto è fisiologico, un evento sessuale naturale.



Forse questo rivela quanto la necessità di indipendenza della donna si scontri con un maschilismo che si appropria anche della parola stessa e la distorce: ma un esame di coscienza dobbiamo farlo anche noi donne, spesso assoggettate e complici di tali terminologie e sottili perversioni di pensieri, di pre-giudizi da rivolgere con la punta contro il petto delle sorelle. In tempi di mea culpa non posso dimenticare i racconti di madri che mi confidano quanto siano state maltrattate, infantilizzate, da ostetriche rimproveranti e ne sono sempre, disperatamente turbata. E mi domando ogni volta: dove dobbiamo stare, cosa abbiamo perso per la strada?



Io credo che abbiamo perso la nostra forma: la forma femminile del corpo cavo della donna, il contenitore dell’amore. È un compito terribilmente arduo quello di chi combatte per la propria vita e intanto ne deve custodire un’altra. Ma accanto a questa combattente prendiamo posto noi, custodi della nascita.

Possiamo permetterci ormai di guardare a una donna nella sua interezza, nella morbidezza del sua cavità uterina che nasconde e protegge, che dona e prende con sé la vita: di tutti. C’è una maternità dentro ogni femmina, anche chi non partorisce ha una sorgente vitale, vivificante, a cui attingere. Come se una persona dovesse restare sempre consapevole che c’è un punto, dentro, fermo, magnetico, che la riporta in equilibrio, che è il vero equilibrio.



Non voglio esaltare il plusmaterno, né idealizzare mettendo sull’altare sacrificale nessuna: ciò di cui parlo è la consapevolezza che la vita è un dono e non un possesso, così come l’amore stesso. Un figlio si ama e si lascia andare, senza perdere nulla di sé ma acquistando in grazia, quella greca e latina, quella più vicina all’umano.

Quando guardo una madre che oscilla nel passo reggendo dolcemente il pancione o una ragazzina che non sa cosa far indossare al suo corpo che sboccia, una signora anziana che trema mentre mi affida la gonna, io sono così certa che queste donne siano beni inestimabili, siano i regali per la vita, siano belle.

Quello che possiamo fare noi (ostetriche, ma è un appello a tutte), è essere per loro, donne. Avere quel femminile specifico che ci rappresenta nel saper dare e nel saper essere forza, nutrimento, forma.

Dobbiamo davvero ri-cominciare dall’inizio, cioè dalla nascita; riportare alla naturalezza dell’accompagnamento alla vita, lungo i tempi e accanto ai bisogni di ogni particolare persona, che è nella coppia. E riconoscere che uno è due, che l’uno senza l’altro fa tanta fatica a esserci, al punto di poter morire, e l’essere umano fragilissimo è fisiologicamente fatto per stare, per dare, alterità.

Far stare il maschile nel femminile, come il figlio nel grembo.

Riportare nel punto centrale dello sguardo ogni essere vivente, com-prenderlo: e poi fare.

Aprire i palmi delle mani, aprire la porta delle parole.

Se vogliamo essere concrete: accompagnare.

Quello che abbiamo cercato di costruire in questi anni di cambiamenti istituzionali è stata la possibilità di mettere accanto a ogni donna un volto e la sua professionalità, fino a progettare il Percorso Nascita, ma innanzi tutto rimettendo in discussione il nostro ruolo, il valore e la responsabilità della nostra presenza; il cosa fare viene dietro il come farlo e dentro il perché, dentro il vero punto fermo del cambiamento.

Difendere la nascita è difendere il corpo dell’umano, il corpo della Terra; ormai è così chiaro che la Nostra Madre Terra ha davvero bisogno di tutti per rinascere!