Il 3 dicembre, con rito sempre più invisibile, si celebra in tutto il mondo dal 1981, voluta dall’Onu, la Giornata internazionale della persona disabile, poi nel 2009 la relativa Convenzione Onu sui diritti umani delle persone con disabilità e ratificata dall’Italia nel 2009. Impegno che ancora oggi rappresenterebbe il caposaldo e il riferimento per qualsiasi politica e produzione normativa che con quella devono essere coerenti.
Da anni i provvedimenti per le persone con disabilità si sviluppano confusamente e anche l’Unione europea si è posta l’obiettivo di promuovere la partecipazione delle persone con disabilità e la loro leadership, agendo sull’Agenda di sviluppo sostenibile 2030, con la quale si intende favorire i diritti e il benessere delle persone con disabilità in ogni aspetto della vita politica, sociale, culturale ed economica, per uno sviluppo inclusivo, equo e sostenibile, per non “lasciare nessuno indietro” riconoscendo le disabilità come punto cruciale inserito tra i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle nazioni.
Nel 2018 il Governo Conte ha varato il Decreto semplificazione che prevede la nascita anche del Codice Unico per le persone con disabilità. Una delega dunque che prevedeva tra le varie cose, riassetti normativi, codificazioni di settore, sburocratizzazione delle norme sui lavori pubblici , servizi e interventi di una legge delega che dimostrava (?) l’attenzione del Governo sul tema della disabilità, un Codice ancora tuttora da scrivere. Nella Legge di bilancio del 2017 si era costituito un Fondo per i caregivers familiari predisponendo ben 70 milioni nel triennio, Fondo sparito a tutt’oggi. Contemporaneamente Conte ha avocato a sé come presidenza del Consiglio la delega e l’istituzione di un Fondo per la disabilità promettendo di stanziare complessivamente 529 milioni in tre anni, ma alla fine il conto in più per i disabili (loro non i familiari) non supera i 90 milioni totali e, dice il Governo, “per riordinare tutte le politiche in materia di disabilità”.
A oggi tutto bloccato e siamo nel 2020 e con una pandemia che ha penalizzato ancora di più i disabili che in Italia sono 2.623.000, cioè il 5% della popolazione, e 522.000 di questi non possono muoversi dalla loro abitazione. I problemi dei disabili e della famiglia in cui vive un disabile sono diversi: l’assenza di supporti effettivi per i genitori alla nascita di un bambino disabile; l’impossibilità di consentire un’istruzione che vada oltre la scuola dell’obbligo con la mancanza a tutt’oggi degli insegnanti di sostegno; l’inesistenza di integrazione nella scuola, nel lavoro, nelle città, sui mezzi di trasporto e nell’accesso ai servizi; la mancanza di un’assistenza specifica per i disabili con genitori anziani.
Occorre da un lato garantire l’effettività del diritto al lavoro per i disabili, e dall’altro riconoscere l’insostituibilità della famiglia come luogo privilegiato di assistenza e di integrazione sociale. Riconoscere, attraverso specifici sussidi, il carico sociale che grava sulle famiglie che si trovano a dover svolgere ruoli assistenziali e ad accudire persone non autosufficienti, in particolare attraverso: sussidi economici famiglie con portatori di handicap; servizi di assistenza domiciliare alle famiglie che assistono i disabili. Bisogna migliorare i centri riabilitativi, socio-educativi e residenziali integrandoli nella comunità e adeguare le strutture negli ambienti di studio, di lavoro, del tempo libero, di trasporto alle necessità di vita e di lavoro.
È necessario incrementare le pensioni di invalidità reale; predisporre un piano di riabilitazione continuativa affinché i disabili non perdano le capacità acquisite. Fondamentale superare il meccanismo di collocamento burocratico, attivando un sistema moderno che leghi formazione e occupazione, che incoraggi le aziende attraverso sgravi e agevolazioni e che salvaguardi la personalità del disabile rispettandone le attitudini e le capacità. Indispensabile sviluppare l’educazione e collaborazione con la scuola e le associazioni del volontariato, come prevede la Costituzione, un maggiore coordinamento tra la scuola, Comuni e aziende sanitarie locali per costruire, attraverso un lavoro di squadra, un efficace percorso di integrazione sociale.
Il Governo Conte che fa?