Questa storia comincia un anno fa, con uno spericolato inseguimento a Giussano: un carabiniere cerca di fermare un giovane ventiquattrenne che sfreccia per le vie della città.
L’epilogo della vicenda è rocambolesco: il ragazzo rovina a terra e il carabiniere lo ferma. Ma l’uomo non fa la morale, non parte con quegli atteggiamenti che raccontano superiorità e che allontanano i ragazzi in pochi istanti. Il carabiniere, al contrario, mostra professionalità e umanità, interesse vero per i motivi che stavano animando una tale follia. Il ventiquattrenne rimane colpito, segnato nel profondo.
Passa un anno, la vita non decolla, i pensieri oscuri nella testa del ragazzo si fanno sempre più bui, fino a meditare una fine, la fine. Il giovane esce dunque per togliersi la vita, ma è tormentato da un fatto, dall’umanità di quel carabiniere che aveva aperto – seppur per un istante – un altro mondo, un’altra prospettiva.
Il pensiero è incessante, al punto che si decide a cercarlo, chiama la caserma, lo cerca seppur non in servizio, e lui riappare. I due passeggiano a lungo, nessuno sa che cosa si dicono, ma il giovanotto desiste dai suoi propositi di morte e accetta di continuare a vivere.
La moralità non è fare la cosa giusta: l’uomo morale è chi ha fatto esperienza di uno sguardo che non può dimenticarsi e che continuamente riaccende in lui il desiderio di infinito.
Noi oggi paghiamo le spese di non avere più sguardi così, sguardi che nel silenzio restano e che ci impediscono di dimenticare le stelle che una notte tutti abbiamo visto e che si sono poste come la misura del nostro buon vivere. Pieni di saggi consigli, siamo orfani di uno sguardo da non dimenticare. Riempiti di educazione civica, ma senza la civiltà di un istante d’amore. Che non si cancella più.
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