Forse non ce lo aspettavamo, perché per un paio di mesi non li avevamo sentiti, o meglio, ognuno aveva sentito quelli che gli erano più vicini. Gli insegnanti avevano provato a sentirli tutti, tutti quelli delle loro classi. Non ci aspettavamo che nel momento della “riapertura” l’impeto giovanile esplodesse in maniera violenta, con il rifiuto delle regole anti Covid, con la rabbia di chi non accetta più costrizioni e mascherine, con la movida scomposta, con le baby gang in tragico aumento. Ci siamo stracciati le vesti perché i giovani non sono responsabili , “tanto il Covid è una questione da anziani” dicono, li abbiamo visti affollare strade e bar senza distanziamenti e mascherine e, addirittura, ora sono arrivati allo scontro generazionale perché, come emerge da una recente ricerca del Censis, “cinque giovani su dieci, vogliono penalizzare gli anziani nell’accesso alle cure e nella competizione sulle risorse pubbliche”. Irresponsabili, cattivi ed egoisti. Difficile pensare il contrario. Gridano in questo modo ciò che hanno dentro, il loro desiderio, il buco che hanno nel cuore, “cento cose, mi tengo in moto/riempio il tempo e non colmo il vuoto”, per dirla con il rapper Marracash.



Questi giovani che ci stringono il cuore quando li incrociamo in strada, scuri nello sguardo, nell’abbigliamento, nera anche la mascherina (quella che comunque portano con sé per entrare in un negozio o nel pub), sono gli stessi che per mesi sono stati reclusi, che hanno provato a seguire la Dad offerta dalla scuola, per i quali la solitudine è stata come il detonatore del vuoto e, dobbiamo augurarci, magari di una domanda e di un desiderio che oggi esplode e squassa  loro e noi. Ma durante i mesi del lockdown la televisione ci ha fatto vedere anche “altri” giovani, quelli che hanno continuato a studiare, che sono andati a fare la spesa per gli anziani, che hanno affiancato la Protezione civile, che insomma hanno dato positivamente e generosamente una mano dove c’era bisogno. Ragazzi buoni e ragazzi cattivi? Che cosa ha fatto e fa la differenza? Se ti fermi un attimo e provi a guardarne in faccia uno, poi un altro e un altro ancora, che siano dark aggressivi o no, non puoi fare altro che inginocchiarti con tremore di fronte a quella sottile lama della libertà che fa la differenza, perché ognuno di loro, “buono” o “cattivo”, avrebbe potuto essere nell’“altra storia”.



Ambiente, educazione, circostanze, tutto concorre, ma ciò che veramente fa la differenza è l’istante della libertà. Come dice Péguy “l’uomo è uno strano essere. Perché in lui entra in gioco questa libertà che è il mistero dei misteri.” Un mistero affascinante e insondabile, che rimanda al desiderio infinito del cuore, sospinge oltre, perché, come grida ancora Marracash, “quello di cui abbiamo davvero bisogno è invisibile”. Un mistero di cui non possediamo né i modi né i tempi. Un mistero che però ci fa guardare i nostri giovani con trepidante fiducia perché, come ci ricorda Julián Carrón ne La bellezza disarmata, “la libertà si muove sempre per una attrattiva, perché il cuore dell’uomo è assettato della verità… L’educazione è, perciò, un invito alla libertà dell’uomo, affinché egli inizi un cammino alla scoperta della verità delle cose”. Così Péguy fa parlare Dio “Per ottenere questa libertà, questa gratuità ho sacrificato tutto, per fare entrare in gioco questa libertà, questa gratuità, per insegnargli la libertà”. È piaciuto a Dio educare così, difficile dargli torto o provare a fare meglio!

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