La storia delle iniziative legislative proposte per migliorare l’accesso al lavoro dei più giovani affonda nella notte dei tempi. Passato il periodo della ricostruzione post-bellica si cerca con il nuovo assetto dell’obbligo scolastico e con una prima sistemazione dei percorsi di formazione tecnica e professionale di creare un link scuola-lavoro. La forte migrazione interna dal sud al nord porta a sostenere l’occupazione nella fase di crescita del nostro sistema industriale. Con la crescita della scolarizzazione inizia, però, la sequela di normative contrattuali e sgravi fiscali al fine di favorire l’occupazione giovanile
Oggi, dopo due tentativi di applicazione del programma europeo di Garanzia Giovani, siamo di nuovo a ragionare sulla difficoltà che il nostro sistema economico ha nel superare la difficoltà di inserimento al lavoro dei più giovani. Restiamo il Paese con la disoccupazione giovanile più alta e con un tasso di attività basso nella classe di età di chi ha finito i corsi di studio e non ha ancora avuto un primo impiego.
Ciò che oggi vi è per sostenere l’occupazione giovanile è debole e scoordinato. L’accesso avviene soprattutto con contratti di tirocinio o stages. Non sono contratti di lavoro ma formativi. Già questo la dice lunga sulla considerazione che diamo alla prima esperienza di lavoro che offriamo. Seguono poi gli sgravi fiscali per le aziende che assumono giovani – sgravi che a seconda del periodo sono generalizzati oppure privilegiano territori, donne o determinate fasce con maggiore tasso di esclusione. Sono misure che raggiungono sempre risultati parziali, in quanto le aziende decidono di assumere per loro necessità produttive e solo se la loro necessità coincide con la possibilità di ricorrere a professionalità che godono di sgravi sui costi vi faranno ricorso.
Resta poi l’unico contratto di lavoro che dovrebbe essere la via maestra per i percorsi di ingresso dei giovani nelle professioni, ma che resta da noi una cenerentola, il contratto di apprendistato. Si tratta di un contratto di lavoro a tutti gli effetti, dura due/tre anni, permette di pagare uno stipendio due livelli sotto quello di inquadramento (oltre ad altri vantaggi contributivi) e ha come sbocco il passaggio a un contratto a tempo indeterminato una volta concluso il periodo di formazione e lavoro che caratterizzano il primo periodo.
Vi sono tre livelli o tipi di contratto di apprendistato. Quello di primo livello parte dai 15 anni, è tipicamente il percorso ancora di “alternanza” scolastica e lavorativa. Porta ad acquisire un primo livello di formazione in una professione ed è tipicamente il contratto pensato per introdurre, anche nel nostro ordinamento, il sistema duale di formazione professionale.
Assimilabile a questo è il contratto di terzo livello per la formazione tecnica di alto livello che è prodromico allo sviluppo del sistema degli ITS con metodo duale di formazione in aula e sul posto di lavoro.
A metà è il contratto di apprendistato professionalizzante. È applicabile a giovani che hanno già svolto un percorso professionalizzante e porta ad acquisire un certificato di professione o a passare verso un esame di maturità per acquisire il titolo di studio di una scuola secondaria superiore.
È un sistema apparentemente in grado di assicurare una gamma di opportunità che dovrebbe vedere coincidere gli interessi delle imprese con quelli degli apprendisti. I numeri del ricorso all’apprendistato raccontano però una storia diversa. Negli ultimi 30 anni sono state fatte ben 4 riforme del contratto di apprendistato, ma la situazione resta sempre ferma.
I contratti di apprendistato sono ormai da anni circa 500 mila e di questi, ancora nel 2023, il 97% è di apprendistato professionalizzante. Questo contratto può essere utilizzato per adattare professionalità a particolarità aziendali ed è utilizzato per assumere anche personale formato e già adulto. Ciò spiega perché l’età media degli apprendisti del nostro Paese è di 25 anni, molto più alta di quella registrata in Francia o Germania.
L’apprendistato di primo livello interessa 10mila contratti l’anno e solo mille sono quelli per il terzo livello.
La distribuzione territoriale premia le regioni industriali. Oltre il 50% dei contratti di apprendistato riguarda Lombardia (da sola rappresenta il 20%), Veneto, Emilia Romagna e Piemonte.
Le misure di semplificazione proposte dal Governo, attualmente in discussione per l’approvazione parlamentare, danno la facoltà agli apprendisti di svolgere il periodo di formazione previsto dal piano formativo, che accompagna ogni rapporto di apprendistato, anche presso due aziende. Inoltre. mette 15 milioni, a partire da quest’anno, a sostegno di tutti i livelli di apprendistato compreso quello di alta formazione e ricerca.
Sono ulteriori facilitazioni che potranno dare qualche beneficio. La situazione, però, meriterebbe una riflessione più attenta alla realtà. La distribuzione territoriale dei contratti è certamente legata alla forza dei sistemi produttivi delle regioni del nord, ma questa spiegazione è parziale. Se guardiamo la distribuzione territoriale dei contratti di primo e terzo livello, quelli che introducono un metodo nuovo dei percorsi fra formazione e lavoro, vediamo che la Lombardia ha una concentrazione che supera il 50%. Ciò non dipende dal lato imprese, quanto da un tessuto di operatori della formazione professionale che si è sviluppato in questi anni e che è cresciuto sviluppando un dialogo con il sistema produttivo del territorio che ha portato a migliorare costantemente la capacità di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro.
Ciò ha anche portato a concepire il rapporto di apprendistato non più centrato sull’impresa, ma sulla persona. Il patto formativo è preparato e garantito dall’ente formativo. Il sistema delle nostre Pmi trova, quindi, un appoggio reale e sopporta solo gli oneri strettamente legati alla fase di esperienza di formazione sul luogo di lavoro. Sta qui la semplificazione più importante e che dovrebbe diventare la best pratiche (o il Lep) per tutte le politiche regionali.
Serve poi un maggiore sostegno del sistema delle rappresentanze perché crescano i rapporti fra sistema di imprese e ITS. Mille contratti l’anno significa che solo pochissime imprese e poche associazioni si sono impegnate per creare e far crescere un sistema duale di alta professionalità.
La contrattazione, mettendo ala centro il diritto alla formazione, potrà dare un nuovo impulso per la diffusione del contratto di lavoro per i più giovani.
Dare centralità alla persona è però indispensabile per una semplificazione che rafforzi diritti e tutele dei contratti di apprendistato.
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